Viola Nocenzi e il debutto discografico: «La musica è il mio linguaggio primario. Papà? I suoi "brava" me li sono sudati»

Viola Nocenzi
Viola Nocenzi
di Totò Rizzo
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Giovedì 31 Dicembre 2020, 10:29

Una che nasce in una famiglia di musicisti ha il destino segnato. Per Viola Nocenzi, figlia di Vittorio – fondatore e “anima” del Banco del Mutuo Soccorso dagli anni ’70 sulla scena del “prog” italiano – un piano B non esisteva. Ma ci son voluti anni di studio e di gavetta perché Viola venisse fuori adesso con un disco di sette brani che ha influenze rock, blues, pop e ovviamente di quel “prog” che è nel suo Dna. Titolo secco: nome e cognome.

Perché?

«Trovavo forzato dover tradurre in una frase queste sette canzoni».

 

Dalla musica non poteva scappare.

«È il mio linguaggio primario: mi sveglio, mi siedo al pianoforte e scrivo canzoni».

Genetica, attitudine, studio?

«A 4 anni salivo su qualsiasi tavolo pur di cantare. A 6 a scuola al posto di un tema scrissi una canzone. Ai tour del Banco ero la disperazione dei tecnici dietro le quinte: “Stai ferma lì!”. Sarei stata capacissima di entrare in scena e cantare con papà. Ho studiato sodo: pianoforte, violino, canto lirico».

Tre persone a cui dire grazie.

«A Mauro Pagani devo lo slancio, la forza per poter affrontare il palco. Con Ennio Morricone ho capito che lo studio e ricerca sono continui.

Mi disse: “La mediocrità è peggio dell’incapacità”. Alda Merini mi fece un regalo inatteso quando papà, che musicava alcune sue poesie, mi portò a casa sua. Mi diede una gabbia bianca, per uccelli: “Ricorda di aprire sempre la porta”. Io la apro ogni volta che mi siedo al piano».

Vittorio Nocenzi che giudice è stato?

«Severo ma giusto, si dice così, vero? I suoi “brava” me li sono sudati».

È per questo che ha voluto l’altro musicista di famiglia, lo zio Gianni, per arrangiare e produrre il disco?

«Gianni è stato una guida importante, ha vestito il disco con  maestria. Ma papà ha fatto la supervisione».

Insegna canto. Vero che lo fa via Skype?

«Sì, e ancor prima della pandemia. Ho giovani allievi in tutta Europa. L’idea è nata quando ero consulente al Fatebenefratelli di Roma per la riabilitazione dei pazienti operati alle corde vocali. Per quelli dimessi, ho sperimentato gli esercizi a distanza che ho poi trasferito alla didattica. Ho apparecchiature sofisticatissime».

Da docente ma anche da artista che ha fatto tanta gavetta, che ne pensa dei talent?

«Non critico a priori chi ci va. Però vorrei che i ragazzi capissero che chi arriva in tv spesso ha già le spalle coperte da una produzione, perfino qualche esperienza discografica. Il successo non si costruisce mai dall’oggi al domani». 

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