U2, Songs of surrender su Disney+: Bono Vox riscrive la sua storia

E Bono Vox rivela: «Ho pensato di lasciare gli U2»

Gli U2 sbarcano su Dinsey+
Gli U2 sbarcano su Dinsey+
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Venerdì 10 Marzo 2023, 11:53 - Ultimo aggiornamento: 15:08

Se la perseveranza resiliente dei Rolling Stones ha impedito agli U2 di fregiarsi davvero del titolo di miglior rock band del mondo, nessuno adesso impedirà al quartetto irlandese di appuntarsi la stella da primi autorevisionisti rock.

È un complesso processo di autorilettura quello che Bono Vox & Company portano a termine nel nuovo album, il quadruplo «Songs of surrender», in uscita venerdì 17. Canzoni di resa: al tempo, alla necessità di adeguarsi al tempo, alla propria età, al mercato che forse non ha voglia di nuova musica (ma loro promettono che arriverà anche quella). Incendiari che diventano pompieri, ribelli senza pausa che perdono di vista la causa? Anche, ma non solo: canti-voce di dentro, da un mestiere, e da un mondo, che non è più quello in cui avevano iniziato, quando il rock era ancora la voce della gioventù, non una categoria del modernariato, del retromodernismo, dell'archeologia sottoculturale. È il cantante stesso a spiegarlo, confessando di aver «pensato di lasciare gli U2» in «A sort of homecoming», documentario del ritorno a casa (Dublino) che lo vedrà insieme a The Edge e a David Letterman su Disney+, sempre da venerdì: «Ci siamo chiesti quale fosse il motivo per il quale dovevamo continuare a considerarci in attività. A spingermi ad andare avanti è il desiderio di scrivere la canzone che ancora non abbiamo scritto». 

Ma le «Songs of surrender» sono canzoni già scritte, e che canzoni («Sunday, bloody sunday», «Pride», «One», «Where the streets have no name», «I still haven't found what I'm looking for»...), qui riscritte, nel suono e nel senso, entrambi meno eroici, meno urgenti. Se all'elettricità spesso retorica degli esordi post-punk e alla electro-tensione della maturità viene adesso opposto un mood acusticheggiante e minimalista, mentre i testi vengono aggiornati e smontati, con la consapevolezza dell'assurdo rito su cui è costruita l'essenza stessa del rock: quella che condanna-permette a Mick Jagger di ripetere «I can't get no satisfaction» anche a 79 anni, a Pete Townshend di ripetere «spero di morire prima di diventare anziano» ancora a 77 anni sulle note di «My generation». 

Così, consapevoli delle loro età (Bono e Adam Clayton hanno 62 anni, The Edge e Larry Mullen jr uno in meno), come della crisi attraversata dalla band, gli U2 fanno qualcosa che nessuno finora aveva mai fatto: riscrivere la propria storia, i propri versi. «I will follow» (1980) non ha più chitarra elettrica, non ha più batteria, non ha più basso.

E il testo è la confessione di un anzianotto, non più la promessa di un giovanotto: «Ero fuori di testa quando hai detto, hai detto che avevi bisogno di me/ nello specchio un riflesso del ragazzo che non potrò mai essere/ Un ragazzo che ha cercato con tutte le forze di essere un uomo / La madre gli lascia la mano/ Un dono di dolore darà voce alla vita/ Se te ne vai via/ Io ti seguirò».

L'idea è di The Edge, anche se il cantante aveva già firmato un libro sulle quaranta canzoni da ricordare e quaranta sono le canzoni di questo quadruplo, ognuno intitolato a uno dei quattro fondatori, anche se Mullen jr nel disco non ha suonato la sua batteria, al massimo sono state recuperate sue antiche registrazioni, e non ci sarà nella prossima residenza all'ancora in costruzione Msg Sphere di Las Vegas, sostituito dall'olandese Bram van den Berg, causa un infortunio alla schiena da cui non si è ancora ripreso.

«Eravamo molto giovani. Bono non aveva ancora trovato la sua voce», dice il chitarrista, vero motore dell'operazione, spiegando di aver avvertito la necessità di rimettere mano al proprio canzoniere. Mentre l'ascoltatore canticchia un pezzo a memoria e improvvisamente le parole non gli tornano il cortocircuito è compiuto. Le storie dei ragazzi («Stories of boys», ancora 1980) diventano nostalgie di ex ragazzi che si guardano indietro, che ricordano chi erano, provano a sovrapporre le immagini di ieri e di oggi. «Vertigo» (2004) suona come un duello tra la chitarra acustica e il violoncello di Stjepan Hauser (2Cellos). Brian Eno, Daniel Lanois, Abe Laboriel, Bob Ezrin hanno contribuito a creare un prodotto anomalo, curioso, coraggioso, inquietante. Come se Nicholas Ray avesse fatto in tempo a trasformare «Gioventù bruciata» in «I sopravvissuti», come se Salinger avesse trasformato Il giovane Holden in Il vecchio Holden, come se Bob Dylan trasformasse «The times they are a-changin'» in «The times they aren't a-changin'». 

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