Monica Setta: «Che emozione raccontare gli eroi del Covid a Unomattina. Riconferma? A disposizione di Rai1»

Monica Setta: «Che gran emozione raccontare gli eroi del Covid a Unomattina». «Una riconferma? Ci spero, io sono a disposizione di Rai 1»
Monica Setta: «Che gran emozione raccontare gli eroi del Covid a Unomattina». «Una riconferma? Ci spero, io sono a disposizione di Rai 1»
di Ida Di Grazia
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Mercoledì 24 Giugno 2020, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 09:21
Monica Setta, giornalista, scrittrice e conduttrice è stata protagonista di una stagione davvero incredibile di “Unomattina in famiglia”. Non ha mai avuto paura di sporcarsi le mani, è passata dalla carta stampa alla tv lasciando sempre il segno.

È tornata in Rai con un ruolo importante dopo circa dieci anni, come l’ha vissuta?
«L’ultima volta su Rai1 era dopo Domenica in. Quando mi hanno offerto Unomattina in famiglia ci ho davvero pensato tanto perché è un programma complesso, sono quasi sei ore di diretta a settimana, si spazia dall’attualità all’intrattenimento. Ero preoccupata, lo ammetto, nonostante non abbia più vent’anni, sono arrivata con grande umiltà, sono entrata con i piedi di piombo in una meravigliosa cristalleria. Studiare tutto è stato fondamentale, mi sono impegnata in maniera assoluta»

Chiudete il 28 giugno dopo una stagione da record
«Abbiamo allungato di un mese, è stata una stagione bellissima. Ti racconto un aneddoto. Ho iniziato con grande paura, avevo un programma storico e un mostro sacro come Guardì, la novità ero io e quindi è chiaro che se le cose fossero andate male avrei potuto diventare un facile bersaglio. Ho avuto paura per tanto tempo, quando poi i risultati ci hanno iniziato a dare ragione, mi sono lasciata prendere dalla gioia e ogni tanto sui social scrivevo dei risultati. Ebbene sotto il Covid sono stata affettuosamente rimproverata da Michele che mi ha detto: noi stiamo vivendo un momento così difficile per il Paese, ritengo che in questo momento la nave Italia stia faticosamente cercando di andare in porto. Parlare del costume dei marinai è fare un cattivo servizio ai marinai stessi. Mi invitò a riflettere, rimasi senza parole. Parlare di ascolti in un momento così difficile era una questione superflua, e da quel momento ho smesso, perché aveva ragione. È scatta una nuova consapevolezza e se ci sono riuscita è anche grazie a Tiberio».

Con questi numeri la sua riconferma è scontata. Possiamo dire squadra che vince non si cambia?
«È stato un anno incredibile. Mi farebbe ovviamente piacere tornare a Unomattina in famiglia, aspetto però che sia il direttore Coletta a darmi comunicazione. Io ho un contratto in esclusiva ancora in essere, quindi sono a disposizione di Rai 1»

Quest’estate ha rischiato di veder saltare il suo contratto perché le hanno dato della “sovranista”, l’ha infastidita?
«No e ti spiego perché. So che in un certo racconto della tv c’è sempre una corsa ad appiccicare le etichette, il primo che scrive una cosa diventa una sorta di trend setter. Quando lo lessi rimasi stupita, ma sono cose che vanno avanti per effetto trascinamento. Sono diventata professionista nell’88 e da quel momento non ho mai smesso di lavorare, penso di avere una carriera talmente solida, quindi so che fa parte del gioco ma non rappresenta la realtà. Sono rimasta una onesta lavoratrice dell’informazione. Alla fine parlano i fatti e i risultati»

Doveva fare anche una rubrica economica che poi è saltata
«Sono fiorite tante leggende, lì fu solo un problema di presenza in video, mi dissero che una persona che avrebbe dovuto fare un programma importante come Unomattina in Famiglia nel week end non avrebbe potuto sostenere anche un impegno quotidiano. All’epoca non capii, poi però andando avanti con il percorso, l’ho capito perfettamente, era tecnicamente impossibile riuscire a fare due cose con la stessa intensità e lo stesso risultato»

Potrebbe recuperare questa idea della rubrica?
«In questo momento così complicato per l’economia non sarebbe la chiave giusta secondo me. Oggi i veri temi, e qui dovrei tirare fuori la giornalista sindacale che è in me, sarebbe più utile parlare di cassa integrazione, smartworking, flessibilità»

Tra le storie che avete raccontato qual è quella che le è rimasta nel cuore?
«La storia più bella è quella di Pietro, un giovane ragazzo nominato alfiere della Repubblica da Sergio Mattarella, che ha curato in certo qual modo la nonna ammalata di Alzheimer facendola studiare con lui. Ma in realtà tutte le storie che abbiamo raccontato sugli eroi del Covid sono quelle che ricorderò per sempre. Medici, infermieri, ma anche gente con altri lavori come la storia di Monia la cassiera del supermercato di una zona rossa che andava a lavorare tutti giorni durante la pandemia, prima durante e dopo, sorrideva sempre. Il racconto ci ha uniti molto, non raccontavamo la favola, ma una battaglia quotidiana che ci teneva tutti uniti»

Come ha affrontato il lockdown?
«Ho sempre lavorato grazie al permesso che mi firmava il mio produttore. Mi hanno fermata 20 volte la mattina alle 4 e tutte le volte facevo i complimenti ai vigili perché controllavano davvero. C’è stata una grande gestione dell’emergenza da parte del governo ma anche degli italiani. È scattato in noi, popolo italiano, un senso di responsabilità collettiva, siamo stati educatissimi»

Come avete raccontato l’emergenza?
«Il servizio pubblico ha ritrovato la propria missione nel racconto di questa pandemia, con meno enfasi e in modo assolutamente equilibrato. Quello che ci siamo sempre prefissati era non creare allarmismo e soprattutto evitare le fake news. Avevamo uno spazio ‘vero o falso o non lo so’, proprio per evitare leggende metropolitane, le bufale. Il telefono senza fili è una realtà che succede da sempre. Quindi grande attenzione al rigore e Unomattina nella sua essenza originaria rappresenta il meglio del servizio pubblico»

Nella sua lunga carriera c’è stato un momento in cui ha pensato di smettere?
«Ci sono stati tanti alti e bassi, ma il momento di maggiore scoramento l’ho avuto a 30 anni quando pensavo di aver toccato il cielo con un dito. Montanelli mi chiamò a La Voce come capo dell’economia nel 1994, io mi dovevo pure sposare, poi purtroppo quel giornale chiuse e sono passata in un lampo dalle stelle alle stalle. Da quel momento ho vissuto tantissime ristrutturazioni, casse integrazioni, solidarietà, ma non mi sono mai persa d’animo perché non ho mai fatto questione né di status né di soldi. Non ho mai avuto né soldi né paura, né problemi di immagine. Chiudeva un giornale? Me ne andavo a lavorare all’agenzia di stampa. Dove c’è onestà c’è dignità, fa tutto parte del gioco l’importante è sempre come rialzarsi. Io credo molto alla flessibilità all’americana, nel momento in cui cambiano le condizioni cambia anche la tua posizione sul mercato del lavoro e tu devi essere pronto e flessibile. Quando il lavoro è onesto è dignitoso, non mi è mai importato il guadagno, non ho paura e non sono attaccata i soldi. Ci sono stati dei momenti veramente complicatissimi, sono stata fortunata perché ho sempre potuto fare il lavoro dei miei sogni, la giornalista».
 
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