Lello Arena fino a giovedì al Teatro della Fortuna di Fano con “Parenti serpenti”: «È la mia terza giovinezza»

Lello Arena in un'immagine di repertorio
Lello Arena in un'immagine di repertorio
di Elisabetta Marsigli
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Martedì 28 Dicembre 2021, 07:35

FANO - Si chiude in bellezza il 2021 del Teatro della Fortuna di Fano: da oggi a giovedì 30 dicembre (alle 21) è in scena la nota e divertente commedia “Parenti serpenti”, con protagonista Lello Arena, diretto da Luciano Melchionna. Conosciuta grazie al film “cult” di Mario Monicelli del 1992, la commedia è uno spaccato di vita intimo e familiare di grande attualità: Arena veste i panni di papà Saverio ed è stato scelto da Melchionna proprio per il suo sguardo che è come quello di un bambino intento a descrivere ed esplorare le dinamiche ipocrite e meschine che lo circondano nei giorni di santissima festività.

 
Arena, veniamo da due Natali passati in modo assai diverso dal solito: dalla pandemia siamo usciti davvero migliori?
«I buoni ne sono usciti più buoni perché hanno applicato la bontà ad una situazione drammatica. Quelli che erano cattivi prima ne sono usciti ancora più carogne, perché pensano di aver subito un danno individuale e non vogliono far parte di una comunità che cerca di sopravvivere».


Papà Saverio è bambino capriccioso o un uomo che si diverte a trasformare la realtà e a provocare tutti?
«In realtà, con Melchionna, abbiamo dovuto apportare diverse modifiche al ruolo di papà Saverio, rinforzando il personaggio che era una figura più di contorno. Volevamo raccontare una storia che molto ha a che fare con il quotidiano: all’epoca gli anziani non vivevano così a lungo. I genitori si occupano non solo della sopravvivenza biologica dei figli, ma anche della loro emancipazione e ricchezza: poi diventano un problema. La cosa più tragica di questa famiglia è che non ci sono buoni e cattivi».


E cosa ha cambiato la pandemia sul valore del teatro e del mestiere di artista…
«Non bisogna fare i permalosi.

Siamo una categoria che ha una sua ragione di esistere quando c’è benessere, come occasione di intrattenimento. Appena è stato possibile mi sono dato da fare per ricominciare, ma ci sono compagnie che si erano lamentate prima, ma ora stanno ferme per scelta, nonostante non gli siano mancati i finanziamenti durante lo stop. Ora che i teatri hanno aperto siamo tenuti a fare il nostro dovere, anche con la fatica che comporta (controlli, tamponi, ecc.). Venire a teatro significa ritrovare il piacere di stare insieme e si rischiava di perdere l’abitudine pure ad applaudire, ad emozionarsi e ridere tutti insieme, una cosa che alza la pressione e forse l’unica che assomiglia di più al post incontro amoroso».


Della sua carriera cosa si porta nel cuore?
«Sono stato molto fortunato: ho iniziato con la Smorfia, con Massimo, con esperimenti cinematografici dagli incassi straordinari, proseguita allo Stabile di Genova, con l’amicizia con Besson. Ho avuto modo di incrociare Luca De Filippo e ora, continuare a lavorare non mi sembra per nulla scontato. Arrivato a questa terza giovinezza ancora trafficando col teatro, la grande tv e il grande cinema, credo di aver passato 40 anni della mia vita nel miglior modo possibile».


Ha scritto anche un libro sulla sua vita e su Massimo Troisi: che direbbe lui ora?
«Lo saprebbe solo lui grazie a quei formidabili punti di vista che aveva. Leggere il presente, scolpire e creare il futuro, lo possono fare solo quelli come lui. Una delle mancanze che ho è quella di finire la mia vita senza avere il piacere di tornare in scena con lui. Ma sono felice che quello che ci ha lasciato oggi sia di ispirazione per tanti: Ficarra e Picone hanno dichiarato che il loro momento più bello è stato rifare “L’Annunciazione” in tv: ecco, questo sì, mi inorgoglisce moltissimo».

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