Alessio Vassallo alle Muse con Andrea Camilleri: «Ero in banca e mi sono scoperto a usare le sue battute»

Ginevra Pisani e Alessio Vassallo durante le prove de “La concessione del telefono” che andrà in scena alle Muse da giovedì a domenica (FOTO ROSELLINA GARBO/UFFICIO STAMPA)
Ginevra Pisani e Alessio Vassallo durante le prove de “La concessione del telefono” che andrà in scena alle Muse da giovedì a domenica (FOTO ROSELLINA GARBO/UFFICIO STAMPA)
di Lucilla Niccolini
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Martedì 1 Febbraio 2022, 11:08

ANCONA - Nei panni di Pippo Genuardi, protagonista del romanzo “La concessione del telefono”, Alessio Vassallo si era già calato per la trasposizione televisiva. E ora l’attore palermitano interpreta la stessa parte anche a teatro, nell’adattamento che del testo di Andrea Camilleri ha fatto Giuseppe Dipasquale. La pièce va in scena alle Muse di Ancona da giovedì (ore 20,45) a domenica (ore 16,30) per la stagione di Marche Teatro.

 
Alessio Vassallo, quasi una predestinazione, il suo incontro con Andrea Camilleri?
«Lo scrittore è entrato nella mia vita, prima come scrittore, poi come autore da interpretare. Mi sento privilegiato di averlo conosciuto: un’esperienza che va al di là del lavoro. I suoi scritti ti restano sulla pelle, e nel cuore, tale è la sua capacità di farci percepire le costanti della Storia. È questa la sua forza. Un aneddoto rivelatore: giorni fa ero in banca per certe pratiche, e davanti alla capziosità della burocrazia, mi sono scoperto a usare le sue battute al riguardo».


Le assomiglia Genuardi?
«Non so, lui è molto istintivo. Semmai c’è una certa assonanza tra il suo comportamento e il mestiere che faccio: lui si sente governato da qualcosa che lo travalica, e interpreta una parte. Ma per fortuna sono più lucido di lui, e mi sento libero, come se avessi spezzato delle catene: il personaggio è davanti a me, e lascio Alessio alle mie spalle. In fondo, è questa la forza del teatro: ogni volta hai davanti una pagina bianca da scrivere».


Si è fatto un’idea sul perché sia stato designato proprio lei a interpretare questa parte?
«Credo che abbia influito la mia interpretazione di Mimì Augello nel “Giovane Montalbano”.

Quell’esperienza mi ha dato una certa dimestichezza con il linguaggio di Camilleri. Poi, deve aver contato l’autoironia, quello sguardo scanzonato, che ho nella vita di tutti i giorni: mi aiuta molto a rendere veritieri i suoi personaggi».


Bello e irresistibile come Mimì Augello?
«Quand’ero adolescente, forse. Ma per fortuna non gli assomiglio più tanto: Mimì è distratto dalle donne. Mi sono divertito a dargli quella sfumatura di vanitoso, com’è Ferdinando Cefalù in “Divorzio all’italiana”, molto attento all’aspetto fisico. Io non sono così narcisista. Quando non lavoro sono anzi piuttosto trascurato, casual, al punto che talvolta la mia ragazza mi sollecita a “mettermi carino”». (ride di gusto, ndr).


Che differenze, tra la riduzione teatrale e il film?
«Tante. Dipasquale ha chiarito fin dal principio che, sulla scena, il mio Genuardi doveva essere meno naturalistico, più “dipinto”. È stata questa la carta vincente: pur rispettosi del testo, ne abbiamo fatto una nuova storia, in cui la parola di Camilleri, il suo messaggio che ci induce a riflettere, riesce più efficace, trasporta il pubblico in quella “isola che non c’è” che rappresenta Vigata, in un altrove dove tutto è possibile, in cui abbiamo tutti bisogno di fuggire».


Il valore aggiunto di questo adattamento per il teatro?
«Il pubblico. Il test decisivo lo abbiamo superato al debutto. Dal palcoscenico ti accorgi subito di cosa funziona, dalla reazione degli spettatori: ogni sera, a seconda del pubblico che respira davanti a te, la rappresentazione cambia colore e corpo. Non puoi rivederti, e le persone vive che ti guardano sono il più valido, anzi, l’unico indicatore».

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