Bisio sul palco con “Father and son”
«Non si deve essere amici dei figli»

Claudio Bisio sul palco con "Father and son"
Claudio Bisio sul palco con "Father and son"
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Giovedì 25 Gennaio 2018, 11:38
SENIGALLIA - Un padre, come tanti oggi, che non sa come prendere il figlio. Claudio Bisio si confessa in scena, in “Father and son”, oggi e domani sera a Senigallia, sabato e domenica ad Ascoli. Lo spettacolo da quattro anni riscuote consenso nei teatri italiani, da prima che il libro di Michele Serra, “Gli sdraiati”, da cui è tratto, diventasse il film di Francesca Archibugi, in cui è sempre Bisio a prestare la faccia allibita e arguta al “padre”.

Dal testo di Serra, una pièce teatrale e un film. Qual è il suo segreto?
«Qualcuno l’ha interpretato come un’accusa nei confronti dei giovani d’oggi. Io invece ho trovato il libro molto autoironico. E di autoironia è intessuto il mio monologo. È il padre, con la sua inadeguatezza e col suo atteggiamento critico, a essere messo in discussione. Il finale lo conferma: quando finalmente il figlio acconsente a salire sul Colle della Nasca, è lui a conquistare la vetta, nonostante le scarpe inadeguate, il poco sonno e i pantaloni che cascano lungo i fianchi. Riesce a dimostrare al padre, che credeva di doverlo aspettare, di farcela».

Nel 2014, quando debuttò “Father and son”, i suoi figli erano adolescenti. Quanto ha influito la sua vita famigliare sulla sua interpretazione?
«Il libro mi aveva molto colpito, per le dinamiche descritte: vi si raccontava proprio quello che accadeva a quei tempi con i miei ragazzi. Ho voluto informarmi sul rapporto padri-figli, leggendo i testi di Pietropolli Charmet e “Il complesso di Telemaco” di Recalcati. Ho scoperto che è un errore essere amici dei figli, perché si rischia di non farli crescere. Negli anni ‘70, da adolescente, come tanti ho messo in discussione tutto: la famiglia tradizionale e il rapporto col padre, allora regolato da un’autorità indiscutibile. Con Alice e Federico ho quindi preferito il dialogo, un atteggiamento da fratello maggiore. Credo nell’autorevolezza, più che all’autorità tout-court».

Lei è stato un giovane impegnato e battagliero. È riuscito mai a parlarne in famiglia?
«Certo! Ma ho sempre preferito rispondere alle domande dei miei figli, piuttosto che fare lezioncine sul come-eravamo».

Cosa manca ai giovani di oggi: ideali, maestri, esempi, prospettive? «Sono diversi da come eravamo noi alla loro età, ma è anche il mondo che è profondamente cambiato. Non credo che manchino di ideali e prospettive; piuttosto, si trovano a fronteggiare una realtà complessa, ricca di possibilità ma anche di vincoli e paure. Sono nati dopo che il Muro di Berlino era stato abbattuto e ora, mentre si affacciano all’età adulta, altri muri vengono costruiti. Loro hanno una formazione a noi sconosciuta alla loro età, ma scarsi orizzonti occupazionali».

Crede che i padri di oggi siano latitanti nell’educazione dei figli?
«No, anzi: i trenta-quarantenni hanno un coinvolgimento maggiore, rispetto ai nostri padri. È il ruolo dell’uomo a essere cambiato. E non mi sembra un male: per noi, per le donne e per la società».

Lei è una persona molto spiritosa: l’ironia, una certa dose di umorismo serve anche per trattare con i figli?
«Serve a vivere meglio, a vedere sempre l’altra faccia della medaglia. Con i figli, però, non è detto che funzioni sempre: chiedono di essere presi molto sul serio».
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