Saverio Marconi, re del musical: «Su internet riescono a lavorare solo i teatri stabili, adesso aiutiamo i giovani»

Saverio Marconi direttore artistico della Compagnia della Rancia
Saverio Marconi direttore artistico della Compagnia della Rancia
di Chiara Morini
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Domenica 24 Gennaio 2021, 11:08

TOLENTINO - Direttore artistico della Compagnia della Rancia e punto di riferimento per i musical in Italia, Saverio Marconi si racconta e analizza la situazione del mondo del teatro. Marconi, come vede la situazione attuale?
«Di esperienza a teatro ne ho tanta, molta, ma una situazione così non l’ho mai vista. Non ho vissuto la guerra né altre situazioni di pandemie, ma quello che posso dire è che ora il teatro è dimenticato.

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Si salva poco in questo periodo, qualche monologo, ma cose piccole. Su internet riescono a lavorare solo i teatri stabili e chi è in vera difficoltà sono gli attori. Non è facile».


La scorsa estate ha provato un musical distanziato, ma non è lo stesso…
«Dovevamo fare quello spettacolo. Era la prova finale della scuola, di livello universitario, a Bologna. È stata una soluzione particolare, con i protagonisti che avevano tutti i guanti, il plexiglass tra ciascuno, il pubblico ridotto».

Pensa si possa rifare?
«È stato un caso eccezionale, dettato dalla necessità. Non si può pensare a rifarlo. Il musical è altro».


Non riuscite a fare altro?
«Uno dei nostri spettacoli, il musical Pinocchio, è andato in onda su Rai 5, il giorno dopo Natale. Siamo fortunati perché viene trasmesso, online, da Amazon Prime. Questo ci fa piacere, ma non è la stessa cosa. Vorremmo rifarlo, appena sarà possibile, a teatro, per un’importante ricorrenza dalla prima messa in scena».


State pensando a qualcosa di nuovo?
«Come si fa? Non ci sono prospettive.

Ci penseremmo pure, potremmo azzardare una data, ma la situazione attuale non permette di fissarla con sicurezza. Forse meglio aspettare».


Cosa fate allora nel frattempo?
«Noi “anziani”, che abbiamo esperienza, dobbiamo pensare a cosa trasmettere ai giovani, cosa dar loro, cosa lasciargli. Intendo capire le idee che dobbiamo comunicare loro per farli trovare pronti nel post pandemia. Anche perché la ripartenza, credo, non sarà così rapida».


Perché?
«Anche se si riaprisse subito a capienza piena la gente dovrebbe ritrovare l’abitudine ad andare a teatro, tornare e anche aiutare il settore. Ripeto nuovamente: occorre aiutare i più giovani, soprattutto quelli che hanno forti idee, un pizzico di sano egoismo che può dare i frutti. Per il futuro? Sono fiducioso, ho una bella sensazione, ma noi con esperienza dobbiamo guidare quelli che non ne hanno».


Quindi c’è un buon futuro?
«Le persone geniali ci sono sempre state, ma si è trattato di singoli che hanno fatto la differenza, non intere civiltà».


C’è da attendere quindi…
«In un inizio d’anno il poeta Giuseppe Ungaretti disse qualcosa come “Gli uomini se miglioreranno, miglioreranno perché amano”. Ecco l’uomo, la gente, per migliorare deve farlo nel suo animo. E se si ama il proprio lavoro si migliora. Vale in ogni settore, ma soprattutto a teatro: il nostro è un lavoro che fai se lo ami, non è facile farlo e basta. La forte passione che ci anima però ci aiuterà sicuramente».


Nel frattempo?
«Faccio un’altra riflessione: lo spirito degli uomini è sempre lo stesso. Di governi ne ho visti tanti, ma nessuno ha fatto bene tutto. Nessuno nel mondo è stato ottimo secondo me. Ma questo è nel Dna dell’uomo».

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