Decaro a San Benedetto e San Severino con “Non è vero ma ci credo”: «Al centro una persona con l'ossessione di essere vittima di iettatura»

L'attore Enzo Decaro
L'attore Enzo Decaro
di Chiara Morini
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Giovedì 20 Gennaio 2022, 15:44

SAN BENEDETTO - Volto noto di teatro, tv e cinema, l’attore napoletano Enzo Decaro sarà oggi e domani, 20 e 21 gennaio, alle ore 20,45 al Teatro Concordia di San Benedetto (info: 0735588246) e sabato 22 alle 20,45 al Feronia di San Severino (0733634369). Porterà in scena “Non è vero ma ci credo” di Peppino De Filippo, per la regia di Leo Muscato.

 
Enzo Decaro, perché è una tragedia da ridere? 
«Direi piuttosto una tragedia comica o una commedia tragica, perché se non fosse per l’accentuazione comica, sarebbe un’autentica tragedia. Le vicende sono quelle di una famiglia distrutta dall’ossessione di un suo componente, Gervasio Savastano, che crede di essere vittima di una iettatura». 


Quanto è difficile far seguire e seguire De Filippo oggi? 
«Abbiamo seguito sia Peppino che Luigi. Mi spiego. Loro retrodatavano le rappresentazioni di circa 20 o 30 anni, per cui quella di Peppino era una storia negli anni ‘30, quella di Luigi negli anni ‘50 e noi abbiamo voluto seguire questa tradizione. La nostra rappresentazione è ambientata negli anni ‘80. Il problema di allora come di oggi sono le credenze: ci si affida totalmente a loro e se ne viene travolti. Nella nostra versione, fedele alla storia originale, c’è un solo atto di un’ora e mezza».


Come nasce uno spettacolo di De Filippo oggi? 
«Se non ci fosse stato Luigi, che voleva recuperare il teatro di Peppino, non saremmo qui oggi. Tuttavia per rappresentarlo nella contemporaneità, era opportuno fare un cambio di linguaggio, trovare un punto di incontro tra la tradizione e l’innovazione.

E il coinvolgimento iniziale di Luigi è quasi un lasciapassare di Peppino. Nella compagnia di oggi quasi tutti hanno collaborato con Luigi».


Napoli anni ‘80 a teatro, Napoli anni ‘80 al cinema con “È stata la mano di Dio”: come è cambiata la sua città oggi?
«Negli anni ‘80 Napoli era più avanti, c’era il pensiero di molti artisti come Ranieri, i Bennato. Con le sue luci e ombre Napoli esprimeva da un lato tutte le aspirazioni, dall’altro le tradizioni. Non sono stati fatti passi avanti ma nemmeno indietro».


Che futuro c’è quindi?
«Bisognerebbe parlare dell’espressione artistica che ovunque è lo specchio della società. Non mi aspetto molto dalla tv, ma spero che le nuove generazioni possano offrire spunti migliori. Altrimenti tutto il mondo dello spettacolo sarà fatto solo di influencer: non intendo demonizzare niente e nessuno, ma solo osservare che non si dedica più molto tempo allo studio e si pensa solo al profitto».


Pensa che arriverà la nomination per il film di Sorrentino? 
«Io sono parte in causa, quindi poco obiettivo. Ma se mi metto nei panni di uno spettatore posso dire che merita: pur nella sua semplicità sconcertante, che come punto di riferimento ha la verità, Sorrentino va in una direzione in controtendenza rispetto allo scenario che le ho descritto. Non ci sono sotterfugi né strategie di convenienza. Io la darei per il coraggio di una storia biografica difficile, profonda, senza poter essere catalogata, se non come pezzo unico».


Prossimi progetti? 
«Fare lo spettacolo nelle Marche, tornare “a casa”, cioè a teatro, dove sento di avere il privilegio di portare la migliore tradizione di De Filippo».

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