Mentre le immagini della sua vita scorrevano sui monitor, l'enfant terrible della musica classica italiana commentava i momenti salienti della sua straordinaria avventura artistica ed umana trascinando il pubblico nel suo mondo creativo. Dagli esordi davanti ai «cinque di Napoli» («tanti erano al mio primo concerto» - dice) agli anni del conservatorio che definisce «formativi, perché conoscenza e studio sono essenziali. All'inizio è un atmosfera di sogno, poi con il passare del tempo comincia a serpeggiare la competizione estrema. È un periodo che ricordo con piacere anche se studiavo e alla sera facevo il cameriere per pagarmi l'affitto».
Poi, per usare le sue parole, «spezza il presente» e va alla stagione della naja per tornare di colpo alla sera appena trascorsa, al concerto tenuto proprio al Lingotto con apprezzamenti per l'Orchestra sinfonica italiana da lui diretta «abbiamo suonato un brano del Guglielmo Tell di Rossini. Sono partiti con un tempo velocissimo, al limite delle loro possibilità. Così ho detto loro: ci vediamo alla fine. Questo li ha spronati ancora di più. È stata una bella emozione».
Definito fragile, poco amato dalla critica per i suoi atteggiamenti anticonformisti, Allevi ha spiegato: «Non posso rinunciare al mio sentire, sarebbe un tradimento verso me stesso. Se i critici non mi amano, pazienza. Per me contano l'apprezzamento e l'affetto del pubblico». La sua comunque più che fragilità è un'esistenza fatta di emozioni, quelle di un cavaliere del duemila che al posto della spada usa bacchetta e pianoforte. Appena dietro le quinte gli abbiamo chiesto cosa sarebbe la sua vita senza la musica: «Mi accontenterei» - ha risposto - «Con la musica, invece, è un esistenza piena. Non ti fermi mai, è all'insegna della ricerca».
Quanto ai progetti futuri dietro l'angolo «c'è una tourn