La prima biografia su Paolina, la sorella-ombra di Giacomo Leopardi

La contessa Paolina Leopardi
La contessa Paolina Leopardi
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Sabato 12 Dicembre 2020, 05:55

RECANATI - Esce la prima biografia completa, su basi rigorosamente scientifiche, sulla dimenticata sorella di Giacomo Leopardi. È Elisabetta Benucci, filologa e storica della letteratura, collaboratrice dell'Accademia della Crusca, a firmare «Vita e letteratura di Paolina Leopardi» (Le Lettere). Il libro è strutturato in brevi capitoli che ripercorrono cronologicamente le tappe salienti della vita di Paolina. Le notizie provengono da documenti conservati
negli Archivi e nelle Biblioteche di tutta Italia. Alcune notizie, molte inedite, provengono dalla consultazione delle carte conservate a Casa Leopardi.

 
La riscoperta e la pubblicazione recente di tanti documenti inediti, come il suo epistolario o come i suoi scritti permettono oggi di  riscrivere e ridisegnare minutamente la vita e la storia intellettuale di questa donna poco ricordata, ma fuori del comune e di alto spessore culturale (pochi sanno che è stata la prima donna a scrivere in
italiano una vita di Mozart). Costretta alla segregazione dal rigido sistema familiare («Io vorrei che tu potessi stare un giorno solo in casa mia, per prendere una idea del come si possa vivere senza vita, senza anima, senza corpo», scriveva nel 1831), solo in tarda età Paolina riuscì a vivere la sua «stagion lieta» e a conoscere il piacere della libertà, dei viaggi, delle relazioni affettuose, delle vanità.

Benucci ne ripercorre pertanto l'infanzia, gli studi. Paolina si formò un'ampia e profonda cultura, soprattutto se si considerano i tempi e  il luogo in cui visse. Imparò il latino, lesse testi classici e biblici, si avvicinò alla prosa straniera, imparando in modo eccellente il francese, oltre a leggere e a tradurre l'inglese e il tedesco. Studiò la storia e si appassionò alla musica. Scriveva, e anche questo è un dato di non poco conto per quell'epoca, in un
italiano colto, corretto e preciso. 

Paolina ha scritto molto, moltissimo. Si può dire che abbia trascorso la sua lunga vita con la penna in mano, vergando giorno e notte lettere, biglietti, appunti, traduzioni, testi originali. Conservava tutti gli scritti, tranne le lettere ricevute che distruggeva subito, per timore che i genitori le potessero leggere. Con i suoi voluminosi appunti, mise insieme un vero e proprio «zibaldone». In pagine di piccolo formato, con una grafia chiara e priva di sbavature, Paolina era solita trascrivere brani, tratti principalmente da libri o da recensioni su periodici. Il suo zibaldone, però, a differenza di quello ben più famoso del fratello,  non contiene riflessioni o considerazioni personali, ma solo trascrizioni, come era d'altronde uso comune all'epoca.

Alla fine di ogni anno con precisione quasi maniacale Paolina faceva rilegare personalmente quelle pagine in graziosi volumetti, dalla copertina in carta marmorizzata: i libretti vanno dal 1823 al 1869, anno della sua morte. Si tratta, in realtà, di trentasette piccoli quaderni rilegati in undici volumetti tuttora conservati a palazzo Leopardi, che Paolina ha riempito di annotazioni le più varie, da notizie di cronaca nera o rosa ad articoli letterari in italiano e in
francese.


Vi registrò anche i titoli dei libri letti fino a un anno prima di morire, arrivando a indicarne ben più di duemila: circa quarantatré libri all'anno per più di quarant'anni. L'elenco dei libri si apre con il romanzo di Madame de Staël Corinne ou l'Italie, vero e proprio best seller dell'epoca pubblicato nel 1807. Amò Stendhal del quale lesse tutte le opere. Amò in generale tutti i romanzi francesi, ma anche quelli italiani. Forti emozioni le procurò la lettura de Le mie prigioni di Silvio Pellico: una «lettura deliziosa» che, scriveva a Marianna Brighenti, «mi ha fatto sentire che sono ancor viva, e che sono ancora capace di commuovermi. Io non ti dirò l'entusiasmo che ha prodotto in me quella lettura che ho fatto ieri notte, tutt'in un fiato, sempre piangente e palpitante e questa mattina il sole mi
sembrava più bello, la natura più ridente, ed i pensieri miei avevano una tinta meno fosca».

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