Cochi con “Le ferite del vento” a Recanati e poi a Pesaro: «Uno spettacolo con Renato? Mai dire mai»

Cochi con “Le ferite del vento” a Recanati e poi a Pesaro: «Uno spettacolo con Renato? Mai dire mai»
Cochi con “Le ferite del vento” a Recanati e poi a Pesaro: «Uno spettacolo con Renato? Mai dire mai»
di Chiara Morini
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Mercoledì 19 Aprile 2023, 01:20 - Ultimo aggiornamento: 12:26

RECANATI - Un racconto intenso, fatto di emozioni, che affronta tematiche non nuove, ma che con il linguaggio del teatro diventa sempre attuale agli occhi dello spettatore. “Le ferite del vento”, questo il titolo, vedrà protagonisti Cochi Ponzoni e Matteo Taranto, sui palchi del Persiani di Recanati (oggi alle 21,30) e dello Sperimentale di Pesaro (da giovedì a domenica, feriali ore 21, sabato ore 19, domenica 17), nell’ambito delle stagioni di Comune e Amat.

Cochi, che personaggio è il suo Giovanni e che rapporto ha con Davide?
«Il ragazzo, Davide, interpretato da Taranto, alla morte del padre trova una serie di lettere: sono lettere appassionate di Giovanni, che aveva una relazione con suo padre. I due si confrontano, sono diversi, il mio Giovanni è un anziano omosessuale, e pian piano Davide viene a conoscere un Raffaele, suo padre, totalmente diverso da quell’uomo anaffettivo che aveva conosciuto. Giovanni lo mette di fronte a diverse problematiche e situazioni, dando a Davide delle lezioni di vita, diventando a volte quasi un secondo padre. I contrasti derivano dalla mancanza di esperienza del ragazzo. Sono dialoghi interessanti e temi universali».

Anche uno scontro generazionale? 
«Volendo anche quello, oltre al tema dei sentimenti. Ma non parlerei tanto di scontro, quanto di diverse esperienze di vita. Giovanni è un uomo intelligente e, ribaltando la situazione, riesce a creare un dialogo con Davide».

Surrealismo o no qui?
«Giovanni? È il perfetto esempio di personaggio surreale, non ha dotazioni realistiche, è un anziano omosessuale che beve, e che parla con un gatto che non esiste. È un uomo borderline». 

Tematiche molto attuali. Quanto il teatro può aiutare a portare i messaggi? 
«Ho questo pensiero e le rispondo con gli effetti che vedo che ha questo spettacolo sul pubblico.

Dopo aver visto questa commedia, gli spettatori ne parlano, si commuovono. E con lo spettacolo rivivono emozioni riguardo tematiche universali, con le gioie e i dolori».

Quasi sessant’anni di carriera: come ha visto cambiare lo spettacolo e il teatro?
«Per me è rimasto uguale, a parte ovviamente la tecnologia usata per la produzione. Quello che faccio, quando metto i piedi sul palco è sempre quello: quando si raccontano storie universali, quando si tocca il cuore delle persone, quando cioè facciamo il nostro compito di attori e artisti, arriviamo alla gente. E allora risvegliamo nel pubblico ricordi, emozioni, sensazioni. Sembrerà banale, ma io credo nella funzione catartica del teatro. Non importa che sia uno spettacolo come questo o un altro comico: di qualunque genere si tratti, l’importante è che si arrivino a toccare le corde giuste». 

C’è qualcosa che ancora non ha fatto ma vorrebbe? 
«No, non ho alcun tipo di rimpianto, ho fatto proprio tutto quello che avrei voluto fare».

Il ricordo più bello di questi quasi sessant’anni? 
«Ce ne sono tanti, ma forse dovrei citare i ricordi degli inizi. I locali Cab64 o il Derby, le collaborazioni con Jannacci, con l’amico Renato, con tanti altri. La partenza, la formazione, la creatività sfrenata di quel periodo, e poi i primi film, la tv. Ho girato tutto il mondo, e ho collaborato con attori del calibro di Sordi, Gassman, ho avuto la fortuna di conoscere tutti quelli prima di me e anche quelli dopo». 

La rivedremo insieme a Renato Pozzetto? 
«Domenica scorsa eravamo da Mara Venier, una bella rimpatriata dopo il Derby. Se capiterà, qualche volta, per ricordare i vecchi tempi, sarà un piacere fare una serata-rimpatriata».

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