PESARO - L’universo del teatro danza della grande Pina Bausch torna a rivivere sul palco grazie a “Moving with Pina”, di Cristiana Morganti, in scena questa sera alle 21 al Teatro Sperimentale di Pesaro. Il racconto-spettacolo di Morganti, giunto ormai alle ultime repliche, entra nel magico legame tra l’artista e il pubblico: il suo percorso, umano e artistico in un teatro di emozioni e stati d’animo, nel linguaggio di movimento che ha un retroterra di precisione maniacale e cura del più piccolo dettaglio.
Tra le compagnie frequentate da Cristiana, prima di fermarsi per 20 anni a Wuppertal dalla Bausch, c’è stato anche l’Odin Teatret di Eugenio Barba: «Ero molto giovane - racconta Morganti - quando vidi “Ceneri di Brecht” e ne rimasi impressionata. Quando ero alla scuola di Essen sentii il bisogno di avvicinarmi a una ricerca sulla voce e scrissi una lettera a Barba. Era curioso del fatto che una danzatrice volesse fare un’esperienza con lui e rimasi con loro per tre settimane. Si stabilì un bellissimo rapporto e anche lui fu felice quando iniziai a lavorare con Pina. Ero affascinata dal modo che Barba aveva di interagire con i suoi artisti ed ora che sono diventata coreografa, mi rendo conto come lui, la Bausch e tutto il mio percorso, faccia parte della mia valigia personale. Ciò che ho dentro viene dalle tante persone con cui ho lavorato».
Ma il lavoro della Bausch la colpì a soli 14 anni: «All’Accademia studiavo storia della danza e tra i tanti video che ci mostrarono rimasi profondamente folgorata dalla “Sagra della Primavera” di Pina.
In molti hanno tentato di imitare il lavoro della Bausch, ma senza arrivare all’essenza della sua ricerca: «Era una straordinaria danzatrice che vedeva e percepiva le cose attraverso il suo corpo: non era una regista che aveva tutto in testa, il suo lavoro non era legato solo al movimento o alla teoria. Quando lavoravi con lei non ti dava mai nessuna spiegazione: si partiva senza sapere dove sarebbe finita quella barca, ma solo che al timone c’era lei. I suoi movimenti non erano mai “decorativi”, ma raccontavano qualcosa, una storia. Era questo a riempirli di significato, a renderli onesti e veri e non messi lì a caso, in una intensa e profonda ricerca della verità».
Come mantenere nel tempo questa preziosa eredità? «Il suo lavoro era principalmente legato al suo istinto e questa cosa rimarrà sempre misteriosa per ognuno di noi. Il suo “montaggio” delle scene era fondamentale e misteriosamente magico: cose che apparivano banali, nella sua costruzione dello spettacolo diventavano strazianti o universali. Imitarla non porta al suo teatro. Quello che posso fare è fare quello in cui credo e soprattutto, essere Cristiana Morganti».