Solari all'Accademia Rossiniana: «Ho insegnato ai giovani la modernità»

Giampiero Solari in cattedra all'Accademia Rossiniana
Giampiero Solari in cattedra all'Accademia Rossiniana
di Elisabetta Marsigli
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Lunedì 9 Novembre 2020, 06:20

PESARO - I teatri sono chiusi, ma le lezioni dell’Accademia Rossiniana si sono svolte prima dell’annuncio del fermo delle attività di rappresentazione. Quest’anno, in occasione del ri-allestimento del Viaggio a Reims (che sarà comunque trasmesso in streaming sui canali del Rof il 26 e 28 novembre) tra i docenti, spicca la figura di Giampiero Solari, regista dalla lunga esperienza sia teatrale che televisiva, chiamato dal sovrintendente del Rof Ernesto Palacio, per approfondire il lato interpretativo dei giovani cantanti, una delle caratteristiche di base dell’Accademia fondata dal grande Alberto Zedda. Tra le esperienze liriche di Solari, oltre ad una Aida, c’è anche proprio la regia di un Viaggio a Reims, qualche anno fa.
Solari, come si è trovato con i giovani cantanti rossiniani? 
«È stato per me un vero onore, prima di tutto: potrebbe sembrare retorico, ma non è così. Sia perché vivo a Pesaro e quindi ho seguito per tanti anni il Rof, sia per aver già affrontato proprio la regia del Viaggio a Reims 3 anni fa a Novara. Non ho fatto molto sul versante lirico, ma ho avuto il piacere, quando stavo finendo la scuola alla Scala di Milano, di seguire Ljubimov, poi una delle prime regie di Pizzi e ovviamente Ronconi, il mio maestro».
Quanto si lega la sua esperienza televisiva con la lirica? 
«Direi moltissimo! La tv permette di studiare molti elementi scenici, così come la musica che si fonde con i libretti che accompagnano ogni opera: tanti settori da riunire sia nella costruzione televisiva che in quella drammaturgica di un’opera. Tra le intenzioni dell’Accademia c’è quella di avere cantanti consapevoli di quello che stanno facendo e questo è stato molto stimolante». 
C’è differenza tra attori e cantanti lirici?
«La differenza sta nel sistema: nella lirica viene imposta una perfezione totale, mentre la prosa parte proprio dal non imporre un sistema, così come per la danza. Anche per gli attori e i danzatori è importante la tecnica, ma in maniera meno visibile». 
Quale è stato l’approccio con i giovani allievi? 
«Molto semplice, ho parlato della mia idea, della mia visione del Viaggio a Reims, aiutandomi con l’esperienza fatta a Novara, uno spettacolo che è stato anche ripreso dal canale Classica. Fargli vedere quel materiale mi aiutava a far capire loro il rapporto col personaggio».
Un’esperienza nuova sia per lei che per i cantanti?
«La bellezza di quest’opera rossiniana sta nel concetto della sua modernità oltre alla bellezza della sua estetica musicale: è geniale.

Al centro c’è un viaggio che non ci sarà mai, ma nelle celebrazioni parigine dell’incoronazione di Carlo X, alla sua prima rappresentazione, alla fine dell’opera fecero entrare il re e io ho visto Carlo X un po’ come Godot. Se ci pensate è un’opera dell’immobilismo proprio come quella di Beckett: nessuno si muove, nessuno può andare via, è come se aspettassero tutti… Godot. Ecco il senso della sua modernità, il vuoto come elemento della cultura contemporanea, il gioco estetico di non riuscire ad arrivare al dunque, ma poi, alla fine, la capacità di risolverlo con una festa».

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