Il regista Abel Ferrara sbarca a Pesaro per la Mostra del Nuovo Cinema: «Sono qui per Pasolini, un maestro»

Il regista Abel Ferrara al suo arrivo all’Hotel Vittoria di Pesaro
Il regista Abel Ferrara al suo arrivo all’Hotel Vittoria di Pesaro
di Elisabetta Marsigli
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Lunedì 20 Giugno 2022, 11:05

PESARO - Il primo grande ospite d’onore della 58esima Mostra Internazionale del Nuovo Cinema (Pesaro Film Fest), è stato ieri sera il regista americano Abel Ferrara, giunto a Pesaro per presentare il suo film “Pasolini”, realizzato nel 2014, omaggio dei 100 anni dalla nascita dell’intellettuale italiano che più ha contribuito, nelle prime tre edizioni del festival, a renderlo un evento di prestigio internazionale. Ferrara ha sottolineato quanto questo suo film sia stato un vero e proprio atto d’amore nei confronti del grande poeta e intellettuale italiano: «Le parole sono le sue, la metà delle scene sono scene che lui aveva scritto e che non ha avuto modo di girare. Il mio è stato un approccio fatto con estrema umiltà nei suoi confronti».

 
L’accoglienza in Usa
Un film che anche il pubblico americano ha accolto favorevolmente: «Pasolini ha lo stesso valore in tutto il mondo: l’atteggiamento delle persone colte, di cultura, intelligenti, quelle che cercano di accogliere la vita, è lo stesso in tutto il mondo». E forse non c’è bisogno del centenario per ricordarlo: «Secondo me non è mai stato dimenticato, né da me né dalle persone, che sono sensibili alla ricerca della verità e della realtà, che sia la contestazione politica, la poesia o i suoi articoli giornalistici. Ovviamente sta al pubblico, allo spettatore andarlo a cercare, trovare e riscoprire. Con Pasolini è come andare a cercare oro e diamanti: chi lo incontra non si pente mai della ricerca che ha fatto».
Gli studi
Per Ferrara non c’è stato bisogno di andare a cercare nulla però, il suo amore per Pasolini risale agli anni ’70: «Io non ho iniziato a studiare Pasolini perché avevo intenzione di realizzare un film su di lui: io sono un suo “allievo” da quando ero ragazzo, più di 50 anni fa. Non è che ho deciso ad un certo punto di fare un film su Pasolini e ho iniziato a fare ricerche su di lui: Pasolini è lì ed è il mio maestro, costantemente presente nella mia vita, come in quelle di chi ne ha tratto importanti insegnamenti di vita e di arte». Ed è per questo che la sua figura, i suoi scritti sono ancora estremamente rilevanti oggi: «Era una mente brillante e vedeva le cose in maniera estremamente chiara. Era un intellettuale, un poeta, uno scrittore, quindi capace di esprimere tutto quello che aveva dentro». 
La scelta dell’Italia
Per il grande maestro del cinema americano, l’Italia è un luogo dove vengono riconosciute l’arte e la cultura ed è per questo che preferisce vivere qui piuttosto che nel suo paese: «Sono cresciuto in un quartiere profondamente italiano nel Bronx, dove negli anni 50 la lingua era il napoletano.

Come artista il mio Paese mi ha deluso perché ha una grandissima lacuna: lì devo costantemente combattere per fare capire cosa significhi essere un artista, un cineasta, un regista. In Europa questo problema non esiste, c’è una tradizione in questo senso. Ora vivo in una città che ha 3000 anni (Roma) provenendo da un paese che ne ha 400: forse fra 2500 anni cambierà qualcosa? Un film non è solo quel momento di consumismo per cui l’unica cosa di cui ci si preoccupa è quanto incassa o per quanti soldi lo puoi vendere, piuttosto che porsi il problema del perché è stato fatto. La gente a Roma non mi chiama maestro per i film che faccio: sa che sono regista, ma se li faccio o no, se hanno successo o meno, alla gente non interessa e il rapporto non cambia. A New York invece, è quanto hai in tasca che definisce chi sei».

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