Pizzi festeggia il 21 agosto i 40 anni di festival: «Eterna gratitudine a Mariotti e al Rof»

Pizzi festeggia i 40 anni di festival: «Eterna gratitudine a Mariotti e al Rof»
Pizzi festeggia i 40 anni di festival: «Eterna gratitudine a Mariotti e al Rof»
di Lucilla Niccolini
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Lunedì 15 Agosto 2022, 03:20

PESARO - Con l’ironia che accomuna Rossini e Pier Luigi Pizzi, s’intitola “Tra rondò e tournedos” il gala con cui il Rof festeggia, il 21 agosto, i 40 anni di festival del regista milanese. Presente a Pesaro fin dalla prima de “Le comte Ory”, Pizzi, tra gli artefici della Rossini Renaissance, non si perde un solo appuntamento. 
Maestro Pizzi, eravate consapevoli, allora, di stare contribuendo alla Rossini Renaissance?
«Ci rendevamo conto, che le edizioni critiche rivoluzionavano la storia della sua celebrità. Sono arrivato a Pesaro, nell’82, dopo la mia prima regia rossiniana di “Semiramide” a Aix en Provence, con la direzione di Jesus Lopez Cobos. Fu Alberto Zedda a dirigere quello spettacolo in Italia e a fare da mediatore con Gianfranco Mariotti, l’inventore del Rossini Opera Festival. “Tancredi” fu il primo fortunato titolo, poi il “Mosè in Egitto”, “Le comte Ory” e tutta la serie di emozionanti scoperte fino al recente “Moise et Pharaon”. Il “Mosè in Egitto” fu per me un’epifania, capolavoro assoluto, scritto dal Maestro in stato di grazia. Il suo genio è sempre stato un forte incentivo alla mia creatività. Amo definirlo un benefattore dell’umanità».
Come ricorda il suo debutto al Rof?
«Il fervore che mi ispirò “Tancredi”, a dividere col pubblico palpiti, passione, commozione. A Pesaro ho scoperto un luogo ideale per lavorare in piena libertà e concentrazione: un’atmosfera serena, senza sussiego, con la gioia di fare del grande teatro, accanto a grandissimi artisti. Devo eterna gratitudine a Gianfranco Mariotti, con cui si creò un sodalizio fatto di complicità e condivisioni, in perfetta linea con la mia idea di teatro estetico ed etico. Pesaro mi conferisce la cittadinanza onoraria, per il mio contributo al festival e ne sono fiero. Ma devo essere grato al festival per le straordinarie opportunità professionali e umane. Mi sento legato a questa città e non voglio considerare questa festa del 21 agosto come un traguardo ma solo una tappa... ».
E, le Marche, cosa rappresentano per lei?
«Moltissimo. Ho inaugurato il Teatro delle Muse in Ancona. A Macerata ho diretto per sei anni le stagioni dello Sferisterio. Lavoro con la Rete Lirica Marchigiana, ottimamente diretta da Luciano Messi, per la quale, in novembre, preparo “Macbeth” di Verdi, nei teatri di Ascoli, Fermo e Fano. Teatri stupendi che mi piace frequentare, e che, con tantissimi altri nella regione, documentano la passione per la musica e l’arte di questa comunità».
Come è cambiata, in questi quattro decenni, l’atmosfera del Rof?
«Non è cambiato niente ed è cambiato tutto, nel senso che noi siamo cambiati, com’è naturale, ed è mutato quel che ci succede attorno. Il mio debutto di 40 anni fa è avvenuto in un momento del mio percorso professionale particolarmente vitale, entusiasmante. Poi tutto si evolve, per fortuna. E, per carattere, non mi guardo mai indietro».
Non le è successo neanche assistendo a “Le comte Ory” di Hugo De Ana, di riandare col pensiero alla sua regia dell’84, iscritta negli annali della lirica?
«Ogni capolavoro consente svariate interpretazioni. Ne ho parlato con l’amico Hugo: la sua, perfettamente legittima, è all’opposto della mia. Avevo cercato, come al solito, di agire per sottrazione, lasciando che fosse la drammaturgia a raccontare con spregiudicato umorismo la vicenda, e la musica, con ironia, la spensieratezza maliziosa dei personaggi».
Come “si prepara” ai festeggiamenti del 21 un uomo autoironico come lei? Si commuoverà?
«Non mi sorprenderei se l’emozione si facesse sentire.

Sarebbe la naturale conseguenza della gratitudine e dell’affetto che mi legano al Rossini Opera Festival».

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