Lundini allo Sperimentale di Pesaro: «Surreale per batte la noia, dai fratelli Zucker ho capito che si può essere pazzi senza sembrare cretini»

Valerio Lundini, personaggio dell’anno acclamato dalla critica e dagli addetti ai lavori, dopo il successo di “Una Pezza di Lundini”
Valerio Lundini, personaggio dell’anno acclamato dalla critica e dagli addetti ai lavori, dopo il successo di “Una Pezza di Lundini”
di Elisabetta Marsigli
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Giovedì 13 Gennaio 2022, 09:39

PESARO - Acclamato dalla critica e dagli addetti ai lavori, dopo il successo televisivo di “Una Pezza di Lundini”, Valerio Lundini sarà questa sera (ore 21) sul palco dello Sperimentale di Pesaro con “Il mansplaining spiegato a mia figlia”. 
Da scrittore, non pensa sia sbagliato usare parole inglesi?
«Diciamo che ho un’opinione divelta perché mentre da un lato a volte trovo inutile il fatto che si usino parole inglesi al posto di termini che già abbiamo da sempre (ho sentito una ragazza che per dire che le piace fare colazione ha detto “io, con la colazione, cioè, sono totalmente addicted”), dall’altra spero per i nostri figli che un giorno si parli inglese in tutto il mondo, almeno se uno ha una buona idea in Molise può farla capire a tutto il mondo. Per quanto riguarda “Mansplaining” è una parola che qui in Italia non esiste, credo l’abbia inventata qualcuno o qualcuna poco tempo fa, l’ho messa nel titolo perché il giorno in cui dovevo dare un titolo allo show ne avevo sentito parlare».
Il mansplaning poi, è argomento delicato, o no?
«Sicuramente no». 
Musicista, fumettista, scrittore e conduttore: dove si sente più a suo agio?
«Forse come musicista sono più a mio agio perché, abituato a suonare con altri musicisti, spesso miei amici, non sento troppo l’ansia da prestazione perchè ogni fallimento, così come ogni successo, lo dividi con le altre persone sul palco. Come fumettista ho il grande problema dell’essere molto bravo a fare disegni che poi butto o che lascio sul tavolo senza farci nulla, mentre vado in ansia da prestazione ogni volta che devo fare un lavoro vero, disegnare all’interno di una tavola, o anche semplicemente quando mi dicono “Mi disegni mio zio?”».
Il quotidiano offre molti spunti su cui ironizzare, ma la sua particolarità è quella di andare oltre, di non essere mai banale: un esercizio naturale?
«Innanzitutto grazie perché m’è parso un complimento. Comunque credo di sì perché abituato sin dall’infanzia a trovare noiosa la realtà, il quotidiano e le cose di cui si parlava nei telegiornali. Quand’ero piccolo non c’era Internet e quando mi trovavo con i miei genitori in quei negozi immensi e asettici dove vendono maioliche in cotto, tutta quella noia mi serviva a immaginarmi situazioni assurde e parossistiche. Se avessi avuto uno smartphone mi sarei intrattenuto con cose d’altri. Al contempo ringrazio anche molto l’aver guardato un mucchio di tv nell’infanzia, pochissimi cartoni giapponesi ma tanti film come quelli dei fratelli Zucker o di Mel Brooks che mi hanno fatto capire che si può essere surreali e pazzi senza essere dei cretini o dei pagliacci, anzi, essendo persone serie». 
Il successo che effetto fa?
«L’altro giorno ero in albergo e sono sceso nella hall mezz’ora dopo la chiusura della colazione. Beh, sapete cos’è accaduto? Hanno chiuso un occhio e me l’hanno fatta fare lo stesso. Pensate cosa avrei potuto ottenere con un oscar o anche solo un Telegatto. Questo è l’effetto del successo».
Qual è il pubblico che si aspetta di trovare nei teatri e cosa si deve aspettare il pubblico di Pesaro? 
«Avendo vissuto gran parte della mia vita da semi-sconosciuto, ho ancora la sensazione che nei teatri venga la stessa tipologia di persone che veniva a vedermi prima quando suonavo con la band o quando facevo i miei spettacoli più piccoli: ossia persone che potevano essere potenzialmente mie amiche, con riferimenti culturali analoghi, con grossomodo la mia stessa età etc.

Ora con il “successo” di cui sopra, le persone sono molto di più e molto più variegate. Noto che ci stanno anche persone strambe. Ad ogni modo mi pare che siano sempre persone per bene. Spesso i proprietari dei teatri mi dicono “Complimenti, hai davvero un bel pubblico, si vede che sono brave persone”. Chissà a cosa sono abituati».

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