Ricciardo e Zoraide inaugura il Rof
la star è tenore Juan Diego Flórez

Il tenore Juan Diego Flórez
Il tenore Juan Diego Flórez
di Fabio Brisighelli
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Sabato 11 Agosto 2018, 11:38
PESARO - “Ricciardo e Zoraide”, dramma serio per musica in due atti di Rossini su testo di Francesco Berio di Salsa, è questa sera il titolo inaugurale della stagione 2018 del Rof (Adriatic Arena, ore 20). L’opera, per la regia di Marshall Pynkoski, rappresenta un gradito ritorno sulle scene pesaresi, al fine non ultimo di acquisire una maggiore “confidenza” con una partitura non propriamente di repertorio corrente, posto che alla sua prima uscita pesarese nel lontano 1990, nonostante l’intelligente regia di Luca Ronconi e l’ottima compagnia di canto (Ford, Anderson, Matteuzzi, Furlanetto, Scalchi, con Chailly sul podio), non conquistò l’adesione immediata della critica e del pubblico. C’è ora l’occasione, se del caso, di ricredersi. Ebbe il suo debutto al San Carlo di Napoli nel dicembre del 1818, appartiene quindi al cosiddetto periodo napoletano del compositore, allorché questi poté attendere ai suoi capolavori “seri” (da “La donna del lago” a “Maometto II, da “Otello” a “Mosè in Egitto” a “Ermione”), nell’ampia libertà creativa garantitagli dalla locale, qualificata dirigenza artistica. La storia di Ricciardo e della sua Zoraide contesagli da Agorante re di Nubia, che innamorato non corrisposto vuole sostituirla a sua moglie Zomira sul trono, ma con finale comunque lieto per i due protagonisti omonimi del dramma, può ascriversi al filone dell’esotismo orientale, che è poi una costante del teatro musicale settecentesco, grazie agli stimoli apportati dalla traduzione in francese delle “Mille e una notte” nel primo decennio di quel secolo: gli influssi di esso si estendono poi , dopo Rossini, agli operisti romantici del secolo seguente, fino al tardo Verdi di “Aida” e ai vari Massenet e Bizet. Tant’è che anni fa Bruno Cagli, grande esegeta di Rossini, con riguardo alla collocazione esotica, ha parlato di “Ricciardo e Zoraide” come appunto di una specie di “Aida” rossiniana. 

Lo stile di quest’opera ambientata in un’africana Nubia della fantasia è, secondo la definizione di Stendhal, ”magnifico, orientale, appassionato”, fors’anche con riferimento alla ricchezza di uno strumentale che si profonde in preludi e postludi, alla scenografia di “maestosi”, di contrasti sonori, di “larghi” e di “marziali”, alla diffusa coralità. Il tutto quasi in una sorta di pregustazione di quella che sarà in seguito la prassi grand-operistica meyerbeeriana. Fatte salve le ragioni imprescindibili del belcanto, affidato a un specialista del calibro del tenore Juan Diego Flórez, che impersona Ricciardo, e ai colleghi altrettanto quotati: dal rivale in amore Sergey Romanovsky nei panni sempre tenorili di Agorante, alla Zoraide del soprano Pretty Yende; dalla Zomira del mezzosoprano Victoria Yarovaya all’Ircano del basso Nicola Ulivieri. Li accompagna alla guida dell’Orchestra Sinfonica della Rai il maestro Giacomo Sagripanti, con il coro del Ventidio Basso affidato a Giovanni Farina.
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