Maurizio Casagrande come nascono titolo e spettacolo?
«Nasce tutto dall’idea di avere un “a tu per tu” con il pubblico, avevo voglia, dopo la pandemia che ho vissuto male per la distanza proprio dal pubblico, di avere con esso un rapporto più intimo, dando agli spettatori uno spettacolo vero. Ho chiamato la cantautrice Ania Cecilia, che conosco bene, che mi farà da spalla. Durante la pandemia mi aveva chiesto di migliorare nella recitazione e io l’ho aiutata; allo stesso modo ha fatto migliorare anche a me nel canto. Poi c’è Claudia Vetri alla quale ho affidato la parte tecnica, come sequenze, luci, automazioni. Loro sono amiche vere, ed ecco il perché dell’“A tu per tre”».
Di cosa parla lo spettacolo?
«Un triangolo con due donne più giovani, che nella finzione sono in contrasto, ma in accordo solo nell’attaccare me. Reagisco, ma ne esco male!».
Quanto si ride?
«In maniera eccessiva, garantito! Ma la risata con me non è mai volgare o aggressiva, è un ridere autentico, che deriva dalle azioni sul palco».
Quanto è sincera oggi la comicità?
In che senso?
«Di persone perbene ce ne sono, ma non emergono. Vedo invece alcuni fare cose orrende».
Meglio il “politically correct” o l’“uncorrect”?
«L’uncorrect. Non se ne può più di espressioni come “in bocca al lupo, viva il lupo”. Da sempre l’augurio si concludeva con “crepi il lupo”, era un augurio scaramantico per i cacciatori. Oggi c’è un tale buonismo dilagante, che fa apparire complicata ogni cosa da dire. Non va bene, dovremmo tornare ai veri contenuti».
Prima musicista, poi attore, poi comico: come sono avvenuti questi passaggi?
«In modo naturale, io sono un uomo che scorre la vita, sono elastico, mi adatto, il cambiamento mi piace. Ho iniziato a fare il batterista, poi con l’elettronica è arrivato un momento difficile e per sopravvivere ho cambiato. Ma non ho abbandonato l’arte, non ho mai potuto vivere senza farla. Mio padre Antonio aprì una scuola di recitazione, mi ha chiamato per insegnare solfeggio, sono diventato amico della classe, ho sentito il sapore del mestiere dell’attore. Poi sono diventato amico di Paolantoni, e insieme ridevamo di alcune cose mie. A teatro facevo ruoli seri, ma ho cercato anche i comici. Quindi l’incontro con Vincenzo Salemme che ha colto questo mio lato».
Com’è stato lavorare con lui?
«Lo abbiamo fatto in sinergia, abbiamo scavato l’uno dentro l’altro, e quando questo accade, ci si racconta bene insieme».
Un saluto comico alle Marche?
«Per quanto io non sia uno che sceglie i capi al marchio, però vi dico: per fare risate di Marca, venite nelle Marche!».
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