La morte di Jean-Luc Nancy, allievo di Paul Ricoeur e discepolo di Jacques Derrida, avvenuta a Strasburgo all’età di 81 anni, riveste un significato molteplice in questo periodo di “crisi del sistema globale” come lui stesso la definiva. E spinge ad una riflessione proprio il vuoto che lascia nel momento di maggiore espressione di questa crisi dovuta anche al dibattito socio-politico sulla pandemia innescato da Giorgio Agamben.
Ci ha lasciato Jean-Luc #Nancy, uno dei protagonisti più originali della discussione filosofica contemporanea. Era un amico del festival, cui ha partecipato molte volte donandoci non solo lezioni dal vivo, ma anche testi di rara preziosità concettuale. pic.twitter.com/xxfw8jBoBg
— festivalfilosofia (@festivalfilo) August 24, 2021
Il polemista della contemporaneità
Nancy aveva recentemente criticato le uscite mediatiche del vecchio amico, la sua definizione del coronavirus come una semplice influenza e la sua polemica contro il presunto “stato di eccezione” imposto dagli Stati.
La morte di Nancy riveste quindi un significato importante proprio perché il suo ragionamento sulla sua salute e sul suo corpo lo ha portato ad affrontare lucidamente la crisi sistemica su cui ha riflettuto per decenni. E il corpo era per lui proprio il luogo originario di un accadere e concretizzazione dell’essere nel contatto e nella relazione che possono avvenire solo attraverso i corpi. Per questo pera arrivato anche a riflettere sull'importanza ontologica della sessualità per il suo emblematico rimando ad una pratica della condivisione e dell'essere in comune. Come mostrano Corpus (1992) e il volume tradotto nel 2019 in Italia dal titolo Sessistenza.
Il pensiero filosofico di Nancy
Il pensiero di Nancy si è sviluppato a partire dalla nozione di singolare e plurale che ha voluto esprimere come l'essere non si riduca al soggetto, ma sia una coesistenza originaria al cuore dell'essere per cui la singolarità di ciascuno è indissociabile dal suo essere con una moltitudine. A partire da questo concetto ha rilanciato il bisogno di una politica vera che richieda però una preliminare depoliticizzazione della società, che sostituisca al capitalismo occidentale, alla egenomia della tecnica e alla religione del denaro un'apertura alle esperienze della libertà e della generosità originaria ad essa connessa. I
n un testo ormai classico uscito nel 1986 “La comunità inoperosa” Nancy operava lo sviluppo di questa idea della politica come “essere in comune” che aveva portato all'esperienza paradossale nel “Centre de recherches philosophiques sur le politique” da lui fondato del “retrait du politique”. Ovvero una ricostituzione della comunità all'insegna della categoria che Roberto Esposito ha chiamato dell’impolitico. Un andare oltre la prassi e le ideologie della politica per permettere al singolare e al plurale di mantenere una tensione armonica e rifondare la democrazia in crisi su basi non fittizie. Nella consapevolezza che la vita sfugge e che l’amore è anche lasciare andare l’altro più che possederlo in quella pluralità di cui fa parte misteriosamente anche l’oltre dell’ignoto e della morte.