Il marchigiano Dardust: «Classica ed elettronica, due anime che convivono in me»

Il musicista e produttore, da Emma a Mahmood, racconta il Duality Tour

Dardust (ph. credit di Antonio de Masi)
Dardust (ph. credit di Antonio de Masi)
di Rita Vecchio
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Giovedì 16 Marzo 2023, 11:48 - Ultimo aggiornamento: 14:06

Il fulcro della sua arte sta nel mezzo, «tra stupore e meraviglia». L'ascolano Dardust (al secolo, Dario Faini) sfreccia sul doppio binario, classico ed elettronico, a una velocità folle da lasciare volutamente indietro la veste di autore e produttore che lo ha fatto conoscere al main, dal Festival all'Eurovision, con una lista di numeri e titoli lunghissima. Due anime che convivono sul palco con lo spettacolare Duality tour, in piena creatività della carriera solista di uno dei produttori più richiesti e di successo della scena musicale italiana. Dal 26 marzo, e dopo i sold out delle date italiane, il tour arriverà a Berlino, Bruxelles, Amsterdam e Londra. «E' un anticipo del tour autunnale - racconta Dardust, 47 anni domani 17 marzo - Vorrei che questo show, unico nel suo genere sia in Italia che all’estero, durasse per tanto tempo». 

Lo ha definito uno show siderale, onirico e contemporaneo. Perché?

«Perché corre a due velocità, diviso in due atti totalmente opposti.

E’ come se all’interno del live ci fossero due concerti distinti. Nel primo, il piano solo e una costruzione teatrale, tra pareti di un interno giapponese e l’avvicendarsi delle quattro stagioni. Nel secondo si scatena l’elettronica, con un paesaggio stravolto, tra visual, manga runner e ispirazioni che corrono dall’omaggio a Miyazaki a Ryuichi Sakamoto, alla metafora del Kintsugi costruita sulla mia faccia di ceramica e oro». 

C'è un riferimento alle quattro stagioni di Vivaldi?

«Vado oltre l’ottica lì. Lui resta il compositore che ha le rappresentate a livello musicale ed espressivo. In Duality il riferimento è più scenografico e visivo». 

E Dardust che stagione sta vivendo?

«La primavera. Si è accesa una scintilla nella mia vita artistica che non do per scontata ed è senza precedenti. Da autore e produttore (ha scritto per Mengoni, Carboni, Emma, Jovanotti, Lazza, ndr), al palco in prima linea. Sto percorrendo una strada mia in cui c’è un dualismo non convenzionale, dove classica ed elettronica sono croce e delizia di un unico essere (sorride, ndr)». 

Perché, fanno a cazzotti? 

«Sono diverse, sì. Ma è la mia strada. Anzi, mi piacerebbe spingermi anche nel cinema. Le esperienze diverse che ho fatto -  dalle Olimpiadi (ha firmato il Flag Handover nella Cerimonia di Chiusura dei Giochi Olimpici di Beijing 2022, ndr) al concerto nel deserto di AlUla alla Notte della Taranta (di cui è stato maestro concertatore, ndr) - mi hanno arricchito, mi hanno fatto respirare, mi hanno fatto scoprire un mondo non mio. Mi hanno dato stupore e meraviglia, cose che l’arte deve avere». 

Uno come Dardust che ha collezionato numeri su numeri, come fa convivere con la libertà artistica?

«A me i numeri non hanno mai interessato. Quando ho iniziato con la major (contratto Universal nel 2006, ndr) c’era una forma canzone retro e stagnante, è vero. Erano bei pezzi, ma al suono mancava qualcosa. Poi l’incontro con Tommaso Paradiso e con Mahmood mi ha permesso di iniziare con una fase di rimodernamento del suono, ed è stato prorompente nella scena. La vittoria al Festival di Sanremo di Soldi ha segnato una linea di scissione con il passato. Da lì poi sono arrivati Voce di Madame, La genesi del tuo colore di Irama, Andromeda di Elodie fino ad arrivare a Cenere di Lazza». 

Che pensa del Festival? 

«Mi piace andare con brani che segnano la rottura. Non mi interessa la vittoria, mi interessa che se ne parli tanto anche della produzione. Come è successo con l'ultimo Sanremo con Lazza. Mi ha fatto capire che c’è una identità di un artista che viene riconosciuto». 

Perché per lei la musica è una missione?

«Perché per me steccati, regole ed etichette non hanno valore. Siamo in una epoca fluida nei generi e nella contaminazione. Onestamente non mi interessa essere giudicato dai puristi e il pop mi ha fatto sentire trasversale». 

Ma pensa che l’Italia sia pronta per un visionario come lei?

«Per ora l’interesse allo show dimostra di sì. C’è da fare ancora. Ma sono convinto che il bello sopravvive, senza che si debba fare pensando ai soldi e a un ritorno. Credo sia questo quello che conta». 

Luca Carboni e Jovanotti, sono solo due dei tanti artisti con cui ha lavorato. Future collaborazioni?

«Sono due giganti del pop italiano, li seguo da quando sono piccolo e non mi perdo un loro concerto. Lavorarci insieme è stato formativo, una delle gratificazioni incredibili che ho vissuto. Di recente loro non me lo hanno chiesto, ma per ora sto dicendo no a tutti. Vorrei fare sempre meno della parte autorale e produttiva e concentrarmi su di me». 

E' vero che ha voglia di tasferirsi all’estero? 

«Sì, di avere una base fuori. Londra, NY, LA, Berlino, non lo so ancora. E' colpa della curiosità che poi è sposa della creatività. Un mettersi in gioco in cui ci vuole coraggio e volontà per uscire dalla zona confortevole dell’Italia. Il pubblico che viene a vedermi cerca stupore, aspetta l’imprevedibile. Mi piace questa cosa. Fa parte del mio tracciato». 

Nel suo tracciato ci sono state anche la passione per David Bowie e il musical. 

«Sì e mi chiamavano Lady Oscar perchè mi ero colorato i capelli di biondo ossigenato per la passione per Bowie (sorride, ndr). Il musical di La Bella e la bestia, invece, dove ballavo, recitavo e cantavo (regia di Glenn Casale, produzione del 2009-2010, ndr), mi ha fatto scoprire le mie capacità di attore, ma soprattutto mi ha aiutato a concepire il senso dello show (anche qui, in Duality tour). E quindi, a creare l'imprevedibile e la cura del dettaglio. Insieme alla mia laurea in psicologia, punto a non assecondare aspettative e a strutturare le mie visioni». 

Duality diventerà un documentario?
«Registreremo la seconda data di Milano. Mi piacerebbe. E’ un tour che voglio portare in autunno, è una idea che va portata avanti. Questa una piccola preview». 

Genio, Re Mida, rivoluzionario: le piacciono questi appellativi che le danno spesso?

«Re Mida non lo voglio proprio sentire. Genio non spetta a me dirlo, ma comunque mi vedo pieno di difetti. Direi che se proprio devo scegliere, scrivo rivoluzionario». 

 

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