Omiccioli, l’istintivo. Pittore appassionato di architettura allergico alle gallerie: «Mi reputo mancino di testa»

Michele Omiccioli nel suo atelier
Michele Omiccioli nel suo atelier
di Francesco Giorgi
4 Minuti di Lettura
Giovedì 10 Giugno 2021, 11:22

ANCONA - Michele Omiccioli dipinse la sua prima tela nell’agosto del 2001, a vent’anni. Lo fece appoggiandola su di un amplificatore rotto e la battezzò col titolo “Chi vince e chi perde”. Da qualche parte in quella stanza, che vide per la prima volta utilizzare pennello e acrilici per la creazione di un autoritratto ideale, stava un tascabile Taschen, un piccolo breviario sul lavoro di Jean-Michel Basquiat, di cui il pittore fanese conobbe l’opera ai tempi dell’università alla facoltà di Ingegneria di Ancona, per poi virare, poco tempo dopo, verso studi letterari.

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Un dettaglio della prima tela, corrispondente ad un ritratto in alto a destra, dà l’impressione di ricalcare lo stile fulmineo del writer newyorchese, a cui Omiccioli si ispira ancora oggi per la forte attitudine.


La formazione
Pittore autodidatta, appassionato di architettura e disegno – non è un caso che ad Ingegneria si applicò maggiormente in queste materie, realizzando anche un apprezzato diario di bordo per l’architetto Mondaini – artista figurativo, espressionista, astrattista, calligrafista con una specie di allergia galleristica, non facilmente etichettabile e geloso della sua indipendenza, Omiccioli è un vero sperimentatore, attributo ormai logoro ma a lui perfettamente aderente. «Mi reputo un pittore mancino di testa, nel senso che non affronto con lo stesso stile temi differenti, ma mi muovo continuamente e mi approccio a precise tematiche con stili diversi», ha spiegato.

Oltre all’amato Basquiat, i suoi modelli di riferimento sono Franz Kline per lo stile, Sebastian Matta per l’immaginazione e Francis Bacon per l’impostazione.

La variegata produzione artistica di questo pittore marchigiano – entrato, con alcune tele, nella collezione di Gilberto Grilli, biografo ufficiale di Pietro Annigoni (il “Ritrattista delle regine”) e nella sfera di collezionisti italiani ed europei – contempla la raffigurazione di numerosi soggetti, dalle architetture (tema di una esposizione del 2007 alla Rathaus di Norimberga, dove, tra l’altro, la Kunsthalle della città detiene una sua opera), agli aeroplani; dal Colosseo visto dall’alto (“Zenit”, opera realizzata per i Bagni 77 di Senigallia) o inclinato di novanta gradi, fino ad arrivare a narrazioni più astratte, concatenate in griglie, in piccoli quadretti all’interno di una stessa tela, che l’artista definisce crittogrammi.


Con questa tecnica, che caratterizza i lavori più distanti dall’influenza dell’artista newyorkese, Omiccioli compone dei geroglifici mescolati con griglie di catrame, contraddistinti da disegni realizzati con l’inchiostro residuo rimasto sul pennello, che va poi a colorare. Sono tante le tele realizzate seguendo questo metodo. Qui menzioniamo “Il giudizio”, che, insieme a “La lotta” e a “La redenzione”, compone un trittico denominato “Giudizio personale”.


Il mercato
«La pittura si è rivelata essere un grande momento di libertà, che svolgo in maniera professionale, alternandola però ad un altro lavoro che mi sostenta», ha evidenziato l’artista. «Troppa gente ha mangiato caviale sopra i quadri dei pittori» ha continuato Omiccioli citando una frase di Gerhard Richter - aggiungendo che «è difficile andare in giro e riuscire ad essere se stesso liberamente se non si è collegati ad un discorso forte di sistema». La ricerca stilistica di Omiccioli è istintiva. Partendo da un angolo della tela si spinge a riempire l’intero spazio disponibile, con una velocità che non prevede rimaneggiamenti. «Un’opera deve avere la forza di stupire in primo luogo me stesso. Odio le sedimentazioni pazienti di mesi di lavoro. Preferisco giornate brucianti e convulse ma che poi si risolvono in un’armonia viva».

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