Laskaridis porta “Elenit” alle Muse di Ancona: «Metto in scena corpi irriconoscibili, che simboleggiano la deformazione

Una scena di "Elenit"
Una scena di "Elenit"
di Lucilla Niccolini
3 Minuti di Lettura
Martedì 1 Marzo 2022, 10:41

ANCONA - Sfugge a qualsiasi classificazione, “Elenit”, lo spettacolo di Euripides Laskaridis, che Marche Teatro si è assicurato per la stagione 2021/2022. Le uniche date in Italia sono fissate per il 4 e il 5 marzo al Teatro della Pergola di Firenze, e poi alle Muse di Ancona, il 10 e l’11. “Elenit” è stato presentato ieri alla stampa dall’autore, in un incontro online, aperto dal direttore di Marche Teatro, Velia Papa, e dal direttore generale della Fondazione Teatro della Toscana, Marco Giorgetti.

 
La denominazione greca
Visionario e poetico, “Elenit” trae il titolo dal materiale, messo ormai al bando per gli effetti letali sulla salute, che in Italia chiamiamo eternit. È stato l’autore della performance, Euripides Laskaridis, a dar conto della scelta di un tale titolo. «Quand’ero bambino, vedevo in tv i serial americani denominati con una sola parola, che racchiudeva un mondo, come “Dynasty” o “Beautiful”. Così ho scelto “Elenit”, la denominazione data in Grecia per quello che altrove si chiama eternit: da noi, evocava qualcosa di greco, “ellenico”, senza esserlo, come in Italia fu propagandato come “eterno”, indistruttibile. Sappiamo benissimo, invece, che, lungi dall’essere eterno, ha causato la morte di migliaia di persone, che ne hanno inalato le polveri. E dunque, da questo malinteso ho tratto spunto per creare uno spettacolo in cui il corpo, grazie a travestimenti e protesi, assume forme grottesche, si snatura e trasforma».


La metafora delle bugie
Una metafora, insomma, delle bugie che la realtà a volte ci propina. «Ma sarebbe sbagliato – ha continuato Laskaridis – pensare che io voglia inviare un messaggio al mio pubblico.

Preferisco mettere in scena corpi irriconoscibili, che simboleggiano la deformazione che talvolta finiamo per dare alle nostre preoccupazioni quotidiane. Prendiamo sul serio e ingigantiamo problemi minimi, che ci rovinano la vita. Occorre prenderne le distanze e, se possibile, imparare a riderne». Ma sbaglia, chi crede che lo sguardo di Laskaridis sia sarcastico e critico. «Quello che mi interessa è l’umanità, con le sue fragilità e la tenerezza che non sempre sappiamo esprimere. Poi, ogni spettatore potrà trovare il suo messaggio, immaginare mondi, dentro le mie storie, che corrispondono alla sua esperienza. D’altra parte, non ho mai creato uno spettacolo definitivo, da rappresentare per anni sempre uguale. Dopo ogni replica, mi piace ascoltare i giudizio degli spettatori, oltre che dei miei collaboratori, che mi aiuta a modificare la mia storia. Perché non voglio che un mio lavoro resti immutabile come un oggetto da museo. Non mi interessa». Personaggi dai grossi glutei, dai lunghi nasi, “mostri” di gommapiuma, che l’autore ha derivato da una formazione teatrale che risale alle scuole elementari. «Una mia maestra, bravissima, ci faceva mettere in scena spettacoli in una palestra, dall’acustica pessima. Eravamo così costretti ad alzare la voce, a scandire le parole in maniera eccessiva. E ci educava a costruire maschere, trucchi, parrucche, come faceva suo marito, autore di show di satira politica».


La matrice stravagante
Di qui, la sua matrice stravagante, che strabilia pubblico e critica di mezzo mondo. «Nella nostra cultura postmoderna, non sappiamo neanche più da chi abbiamo tratto certi spunti, suggestioni che ci sono rimaste dentro. Certo, un peso notevole l’ha avuto per me il film “Il pianeta proibito” di Wilcox, dove i mostri sono creati dal nostro stesso inconscio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA