Kim Rossi Stuart ospite del Kum! Festival di Ancona per l'anteprima del suo film Brado: «Amo la vita fino all’ultima goccia»

Kim Rossi Stuart ospite del Kum! Festival di Ancona per l'anteprima del suo film Brado: «Amo la vita fino all’ultima goccia»
Kim Rossi Stuart ospite del Kum! Festival di Ancona per l'anteprima del suo film Brado: «Amo la vita fino all’ultima goccia»
di Lucilla Niccolini
3 Minuti di Lettura
Giovedì 13 Ottobre 2022, 02:05

L’attore e regista Kim Rossi Stuart sarà al Kum! Festival 2022, tra psichiatri, filosofi e scienziati. La sera di sabato 15, alle 21.30 al Cinema Italia, dialogherà con Massimo Recalcati e Andrea Bellavita al termine della proiezione, in anteprima assoluta, del suo ultimo film, “Brado”. È la trasposizione cinematografica di uno dei racconti di un libro di Rossi Stuart, “Le guarigioni”. “Domare la vita, lasciarsi domare”, il titolo del dibattito, ne trae spunto: un giovane, che ha imparato fin da bambino a confrontarsi con rischi e fatica, crescendo nel ranch di suo padre, allevatore di cavalli, torna temporaneamente a vivere con lui, che è infortunato e male in arnese. Accetta la sfida di domare un cavallo, promettente e riottoso. Il ritorno nei luoghi della sua infanzia sarà il passaggio definitivo verso l’età adulta.
Una prova di iniziazione, Kim Rossi Stuart?
«Più che negli altri racconti, è questo, “La lotta”, a evidenziare una “guarigione”: la transizione da un rapporto di estraneità, se non di ostilità tra padre e figlio, alla tenerezza di un legame maturo. Al superamento del “complesso di Edipo”». 
Cosa impara Tommaso, il figlio?
«Ad accettare la sofferenza, vivendola. Ma chi impara di più, dei due, è il padre, Renato. Lui vuole dominare: il cavallo bizzarro, la vita del figlio. Ma è questi a dargli una lezione».
Quel padre, interpretato da lei stesso, più che insegnare, impara?
«Dall’ascolto, che è reciproco, tentando di capire le scelte dell’altro, arriva a perdonarsi, a fare i conti con i suoi errori».
Lei ha vissuto, tra i 10 e i 12 anni, nella tenuta paterna, in mezzo ai cavalli. Questa è una storia autobiografica?
«L’ambientazione è certamente a me nota: d’altra parte, per narrare una storia, in un libro o in un film, devi sempre partire da qualcosa che conosci bene. Ma poi quello che mi preme è arrivare a dire cose che riguardano tutti, non solo, o non necessariamente la mia vita».
Ha mai avvertito il rischio incombente di cadere nella retorica?
«No, ma l’argomento era complesso, e mi sono sempre sentito sull’orlo del baratro. In particolare, nelle scene in cui ai cavalli era richiesto di fare cose specifiche. Alcune sequenze hanno richiesto giorni e giorni sul set. E a certe scene molto spettacolari, che avevo immaginato, ho dovuto rinunciare».
Però il risultato è di grande effetto, soprattutto quando Tommaso cerca di domare il cavallo Trevor. Cos’è stato meno difficile?
«Lavorare con Saul Nanni, il protagonista. Un giovane che è una perla rara, puro e sensibile. Non ho dovuto insegnargli niente, se non gli accessi di rabbia. Lui è l’incarnazione della bontà, e per le scene di astio ha dovuto recuperare dentro sé un rancore che non gli appartiene».
“Domare la vita, lasciarsi domare”, il titolo dell’incontro ad Ancona, al termine del film. Cosa sceglie?
«Io sono per l’equilibrio. Ci sono pulsioni, nella vita, che vanno domate, con la volontà e l’intelligenza. Ma talvolta l’uomo deve inchinarsi davanti alla vita... altrimenti continuerà a rischiare, a fare errori che minacciano di mandare in malora il pianeta».
Bello e struggente, il suo film affronta anche la fine della vita. Qual è il suo approccio?
«Amo la vita, fino all’ultima goccia. Anche quando porta sofferenza, ha un significato. Ma va rispettata la libertà di ogni essere umano di scegliere».

 

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