Addio al poeta del pudore con la dignità del saggio. Il mondo della cultura piange Scarabicchi

Il poeta e traduttore anconetano Francesco Scarabicchi
Il poeta e traduttore anconetano Francesco Scarabicchi
di Lucilla Niccolini
4 Minuti di Lettura
Venerdì 23 Aprile 2021, 09:07

ANCONA - “Sulla soglia gelata del mattino”, Francesco Scarabicchi ci ha lasciato. «Il mio Ragazzo è andato a riposarsi nel suo “prato bianco”»: così la moglie tanto amata, Liana, ha annunciato agli amici, ieri mattina, poco dopo l’una, l’ultimo viaggio del suo Francesco.

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E come si faceva, nel silenzio dell’ora che precede l’alba, a non ricordare i suoi versi: “rassegnarsi al mondo… al suo crudele / volgere in niente il niente, dileguando / oltre il volgere dei giorni, in un addio / di bisbigli caduti nella luce”? Era malato da tempo, e da mesi aveva scelto di appartarsi dal mondo, lui che al mondo ha sempre dedicato solo un briciolo della sua presenza. Non per orgoglio malinteso, né per spocchia, di cui non è mai stato capace, il poeta Scarabicchi si è tenuto sempre “in disparte”, deliberatamente al margine della vita mondana. 
Il pudore è sempre stato il suo carattere distintivo.

Eppure non volle dire di no, quando Michele Polverari, ideatore di pièce di teatro per pochi intimi, gli chiese di raccontare la sottrazione di opere d’arte marchigiane operate dagli emissari di Napoleone.

Con lo stesso Polverari e un piccolo manipolo di sodali, si espose sulla scena, nel Ridotto delle Muse, poi nel cortile del Museo Archeologico delle Marche. Il suo stile gli dettò, anche allora, una recitazione composta e austera, severa, come dev’essere una denuncia, accompagnata da un sorriso autoironico. Non gli andava bene la sguaiata modalità di espressione contemporanea, ma non si è mai lasciato sfuggire, in pubblico, accenti predicatori di condanna. Francesco aveva il senso naturale della dignità del saggio, che non ha bisogno di pontificare per affermare un’idea. «Non sembrava mai voler prendere qualcosa per sé»: distrutto dalla perdita, l’amico Massimo Raffaeli rimpiange ogni momento vissuto insieme.

E sono stati tanti, da quando, sul finire degli anni ‘70, alla retrospettiva di Valeriano Trubbiani nella Pinacoteca di Ancona, lo scultore maceratese glielo presentò, assieme a Franco Scataglini. «È scattato qualcosa – ricorda Raffaeli –. Affinità elettive: Franco è diventato il mio maestro; Francesco, un compagno di strada, un fratello». E ne parla come fosse ancora presente. «Assomiglia fino in fondo alla sua poesia, cosa rara tra i poeti. Dà voce alle occasioni elementari, quelle più pure, del vivere. Consapevole che quello che conta è il “poco”. Essenzialità, la scelta di tutta la sua vita. E grande fedeltà: lui c’era sempre, tollerante, anche verso il mio pessimo carattere. E ironico». Era raro che lo si vedesse ridere. Ma sapeva sorridere con gli occhi, della “bellezza che non offende”, com’è la bellezza dei suoi versi, scarni, puri come la neve appena caduta. E delle sue traduzioni da Machado e Garcia Lorca.

«Un uomo sincero, di immensa onestà intellettuale – scrive la sindaca Valeria Mancinelli - che con le sue opere ha dato lustro alla città di Ancona, su cui ha scritto pagine bellissime. Resta testimonianza per tutta la comunità». Le si affianca l’assessore alla Cultura, Paolo Marasca, assieme al direttore di Kum!, Massimo Recalcati: «Un vero poeta non racconta storie, ma fissa la profondità dell’animo umano. La poesia di Francesco Scarabicchi è nella storia della letteratura, e vi resterà per sempre. Era un uomo capace di sostanza e bellezza, di severità e mitezza. Siamo molto tristi. Addio Francesco, amato amico».
 

«Scarabicchi aveva una sensibilità profonda – lo rimpiange l’editore Giorgio Mangani.- Era capace di percepire sensazioni, e di tradurle in versi che sceneggiavano la drammaticità di situazioni apparentemente senza dolore, come il silenzio di un borgo marchigiano attraversato in ore inconsuete. Pensava spesso alla morte, già quando era giovane, e cercava di sceneggiare quell’ansia nei versi che scriveva, molto spesso forti, dolorosi, ma mai disperati». Sembra di sentire la sua voce: “C’è, nel luogo che lasci, / quando parti, / una tranquilla / carità di sguardi”. 

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