Alex Marè: «La fotografia è tutta la mia vita, poi meglio se in bianco e nero»

Il fotografo fermano Alex Marè
Il fotografo fermano Alex Marè
di Chiara Morini
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Martedì 9 Marzo 2021, 11:07

FERMO - La fotografia non è solo il suo lavoro, ma la sua vita. Meglio poi se in bianco e nero, anche se non disdegna il colore: Alex Marè, giovane fotografo fermano ha già all’attivo numerose collaborazioni con testate nazionali ed ora, da pochi giorni, ha finito di scattare 100 ritratti per valorizzare la sua città, Fermo.
Alex come nasce la sua passione per la fotografia?
«Nel 2014 ho iniziato a studiare, poi l’anno dopo a concentrarmi sulla fotografia di moda, avendo l’occasione di andare a Milano nelle settimane della moda. Lì ho avuto la possibilità di scattare foto a molti personaggi: da Giorgio Armani a molte modelle, incontrando persino Serena Williams. La fotografia mi è sempre piaciuta e facendo questi lavori, poi, mi sono sempre appassionato».
Nel suo stile c’è molto bianco e nero. Cosa significa? 
«Sì, le immagini in bianco e nero per me sono le migliori per raccontare un momento. Sono scatti senza tempo, danno personalità. E questo mi piace: è come se avesse qualcosa di nostalgico, che però non si può collocare temporalmente. Prima scattavo a colori e poi in conversione. Oggi invece vado direttamente, ma serve un’approfondita conoscenza di metodi e luci. La foto deve essere come una pellicola: raccontare quel momento. Prima si scatta con gli occhi poi con il pulsante della macchina fotografica».
Fa molti ritratti, è difficile? 
«Per me è semplice. Le persone ritratte si sentono a loro agio. Mi piace farli perché voglio far emergere l’originalità, come sono realmente. Prendiamo ad esempio il progetto dei 100 scatti che ho fatto a Fermo: ho ritratto diversi soggetti nelle loro peculiarità. Dal vescovo ai carabinieri, dal sindaco Paolo Calcinaro a Piero Massimo Macchini, ripreso nel suo classico mimo. Ognuno di noi ha una qualità da valorizzare, basta modelli di bellezze». 
Perché questo progetto? 
«Ho voluto raccontare un momento storico, questo momento storico che stiamo vivendo: le stampe ormai non si fanno più. Non ci sono documentazioni, se si rompe l’hard disk? Ecco io ho voluto stampare un libro, un racconto stampato della nostra storia». 
Perché ha scelto il Girfalco? 
«È uno dei luoghi più belli, più suggestivi, e poi verso sera ha la luce migliore che si possa avere. Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte e l’amministrazione comunale che ha messo a disposizione il luogo».
È d’accordo con la frase “se uno scatto non piace all’autore non piacerà a chi lo guarda?”
«È giusto. Più che piacermi però io la foto devo sentirla mia, uno scatto deve comunicare qualcosa. Cosa? Lo decide chi la guarda, il titolo lo sceglie chi osserva».
Progetti futuri?
«Ne ho molti. Vorrei documentare ciò che accade, lavorando in bianco e nero. Viaggiare con le foto, intendo, ma non un fotogiornalismo: voglio cogliere l’attimo e costruire un messaggio finale. La curatrice di mostre di fotografi del calibro di Gaspel e Fontana ad esempio mi ha contattato: gli sono piaciuti i miei scatti in bianco e nero. Per me una grande soddisfazione».
Mostre? 
«Ce ne sono alcune prenotate, ma non dico altro.

Sa tutti hanno quel pizzico di scaramanzia finchè le cose non si concretizzano». 

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