L'attrice Biagiarelli porta a Fano “Pazi Snajper” sull'assedio di Sarajevo: «Ci sono anche cecchini invisibili»

L'attrice Biagiarelli porta a Fano “Pazi Snajper” sull'assedio di Sarajevo: «Ci sono anche cecchini invisibili»
L'attrice Biagiarelli porta a Fano “Pazi Snajper” sull'assedio di Sarajevo: «Ci sono anche cecchini invisibili»
di Elisabetta Marsigli
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Sabato 6 Maggio 2023, 06:20 - Ultimo aggiornamento: 11:35

FANO - Un libro, una mostra fotografica ed ora uno spettacolo: “Pazi Snajper, attenzione cecchino” nasce da un’idea di Roberta Biagiarelli, attrice fanese che da diversi anni opera nel campo del teatro civile, e sarà al Politeama di Fano oggi, sabato 6 maggio, alle ore 17, ultimo appuntamento della XX edizione della Scuola di pace “Carlo Urbani”. In scena anche Sandro Fabiani, regia di Luca Bollero, con le immagini di Luigi Ottani tratte dal libro “Shooting Sarajevo”.

 
L’assedio


A trent’anni dall’inizio dell’assedio sulla città di Sarajevo 1992-2022, la Biagiarelli firma un inedito trittico, tre mondi espressivi incentrati sullo stesso soggetto, il ruolo del cecchino, ovvero quegli uomini e quelle donne che decidono di diventarlo o che lo sono, per lavoro appunto, all’interno di regolari corpi militari. È ciò che si muove intorno a questa psicologia deviata che l’ha attratta come materia da poter essere portata in scena. Ma l’idea di questo terzo step è nata sull’onda dell’incontro con Susan Sontag: «Nel buio della guerra a Sarajevo Susan Sontag decise di lavorare con gli attori del Kamerni 55 per le persone chiuse nella morsa della città assediata e mise in scena “Aspettando Godot”. 


Le prove


Le prove al Sart (Sarajevski i Ratni Teatar - Teatro di guerra) durarono mesi, sospese per le bombe e riprese a notte fonda, enormi le difficoltà a cui andò incontro la piccola compagnia teatrale alle prese con la realtà quotidiana di una città senz’acqua, senza luce, senza cibo e sotto il tiro delle bombe e dei cecchini. “Non c’è nulla che possiamo fare”: così inizia la nota pièce di Beckett, tuttavia lo spettacolo debuttò il 18 agosto 1993 al Kamerni Teatar 55.

Susan Sontag la definì una delle esperienze più importanti della sua vita e questo gesto divenne il suo contributo per la città simbolo della guerra».

Un atto di resistenza civile fortissimo secondo Roberta e per questo «il prologo e l’epilogo dello spettacolo sono dedicati a Beckett, alla metafora del suo testo, catapultata dentro un assedio, ma c’è soprattutto un riferimento a tutte le guerre in corso, dove i civili sono privati dei loro diritti fondamentali». L’azione è ambientata in due situazioni parallele: la postazione del cecchino inondata dal suo flusso interiore e l’abitazione di un uomo e di una donna che resistono, testimoni consumati e attanagliati dal freddo, dalla paura, dalla fame che, esattamente come Vladimiro ed Estragone litigano, fanno pace, pensano di separarsi, ma alla fine restano l’uno legato all’altro e passano il tempo ad inventarsi modi per sopravvivere. 


I testimoni


«I tanti testimoni di guerra - - conclude Roberta - che ho conosciuto in questi lunghi anni di attraversamenti balcanici, alcuni di loro sopravvissuti anche al mirino telescopico del cecchino, mi hanno sempre raccontato che anche in condizioni di massimo pericolo uscivano per continuare a fare la vita di ogni giorno: “Vivevamo e basta!”. Oggi questa affermazione acquista un senso ulteriore, capiamo che la vita di ogni giorno non è banalità e che pur di viverla, si debba mettere in conto la possibilità di perderla. Senza dimenticare che esistono cecchini visibili e invisibili: oggi tutti sanno dove siamo o cosa facciamo, tutti siamo controllati e forse anche questa è una cosa altrettanto pericolosa».

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