Anzilotti a Fano con “Erodiade”
«Uno spettacolo sempre attuale»

Una scena di “Erodiade Fame di Vento 1993»2017” di Julie Ann Anzilotti
Una scena di “Erodiade – Fame di Vento 1993»2017” di Julie Ann Anzilotti
di Elisabetta Marsigli
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Sabato 21 Aprile 2018, 11:54
FANO - Un altro importante tassello del progetto “RIC.CI” dedicato alla memoria della danza contemporanea è di scena questa sera al Teatro della Fortuna di Fano: “Erodiade – Fame di Vento 1993»2017” di Julie Ann Anzilotti, prodotta dalla Compagnia Xe. Lo spettacolo si ispira al poema incompiuto Hérodiade di Stéphane Mallarmé che preferisce chiamare Salomè con il nome della madre. La scenografia è firmata da Alighiero Boetti (scomparso nel ‘94).
Erodiade, uno spettacolo che ha segnato la sua carriera: cosa ricorda della sua creazione nel 1993?
«L’incontro importante e fondamentale con Boetti: rimetterlo in scena è stato riportare in vita tutto un processo che fu molto bello, di incontro e scambio. Poi, le danzatrici che lo avevano interpretato all’epoca mi hanno aiutato in questo passaggio di consegne che è stato molto interessante, perché, come ogni lavoro, era molto incentrato anche sulle loro caratteristiche».
Sarà fedele all’originale o ci saranno variazioni?
«Abbastanza fedele, ma, come dicevamo, ci sono aggiustamenti e cambiamenti che si adattano ai nuovi interpreti. Con il suo bagaglio di emozioni, diventa comunque un lavoro contemporaneo e non ha nulla di nostalgico: è un passato che diventa presente con delle qualità in più. Si è trasformato in qualcosa in cui mi ritrovo ancora, ma che ha delle risposte nell’oggi e questo mi fa molto felice».
Quali altri spettacoli hanno segnato il suo percorso artistico?
«Sono tutti figli miei e li amo tutti. Diciamo che alcuni sono molto importanti: “La strana festa” per il lavoro itinerante, molto emozionante, con Steven Brown; “Cieli sgangherati”, primo e unico solo che io abbia mai fatto; “UaU” con le danzatrici che lavorano con me da 10 anni e che sono quelle che sono succedute oggi alle ballerine di Erodiade».
Danza e teatrodanza: esiste molta confusione relativa a questi due termini, come li definirebbe lei?
«Esiste un unico corso in Italia di teatrodanza che è quello della scuola Paolo Grassi a Milano dove insegno. La dicitura della scuola lo indica come “ispirato al mondo poetico di Pina Bausch in un percorso di scoperta del corpo, senza barriere tra movimento, uso della voce, danza, parola, respiro, azione, sguardo”. Io credo che il linguaggio della danza e del teatro possano andare d’accordo e ho sempre attinto dall’uno e dall’altro, ma non penso si debbano seguire degli schemi netti: suono/parola, musica, drammaturgia e scenografia sono importanti per me, in una serena coesistenza».
Molti giovani italiani vanno all’estero a studiare danza: che prospettive ci sono oggi per loro?
«La protagonista di Erodiade è Sara Paternesi che viene da Fabriano: l’ho conosciuta alla Paolo Grassi e l’ho chiamata io a lavorare con me. Questo per dire che a volte ci sono percorsi strani: se studi in una buona scuola non significa che poi sei un danzatore, ma solo che hai iniziato bene. Occorre avere anche una testa e non solo un corpo allenato: la tua specificità è ciò che conta alla fine».
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