“Piantare il maggio”, una tradizione antica legata alla fertilità e alla nascita di bambini

Un albero di maggio mentre viene issato con un braccio meccanico
Un albero di maggio mentre viene issato con un braccio meccanico
di Veronique Angeletti
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Mercoledì 14 Luglio 2021, 15:06

FABRIANO - Nelle alte valli dell’Esino e del Cesano, nel lembo di terra che corre tra Fabriano, Sassoferrato e Pergola, non è raro vedere case dove, nel giardino, svetta un altissimo albero senza corteccia con la bandiera italiana che sventola in cima e tanti strani oggetti appesi. È il “maggio”, l’albero che annuncia orgogliosamente la nascita di un bambino e sarà tolto, per scaramanzia, solo quando il neonato compirà il primo anno di vita.
Il rito di fecondità
Si tratta di un’usanza che ha radici antichissime. Ricorda “l’albero di maggio” che, secoli fa, i giovani piantavano l’ultima notte di aprile. Un rito di fecondità legato al risveglio della natura dove rami e alberelli ricordavano il “phallus” e, quindi, celebravano il potere germinativo e produttivo dell’uomo. Di solito, erano piantati come omaggio presso le finestre e le porte delle case delle ragazze. Nei secoli, con l’azione della chiesa che decise di dare un senso più pudico e religioso, la tradizione scomparve ed è rimasta in poche località dell’Appennino. Tuttavia, nel comprensorio che abbraccia il versante marchigiano dei monti del Cucco, dello Strega e del massiccio del Catria, nei secoli, l’usanza si è evoluta. Ha praticamente concretizzato lo sboccacciato “piantare il maggio”. Un modo di dire malizioso per indicare chi è responsabile dello stato interessante di una donna e si è trasformato in un rito celebrativo e propiziatorio per annunciare la nascita di un primogenito maschio.
La ricerca del pioppo
Celebrativo poiché coinvolge tutto il paese, incaricato di cercare il “bdollo” o “bedollo”, ossia il pioppo. Parola che deriva direttamente dal latino Betulla e dal celtico beith. Un’ulteriore prova che, in questo comprensorio, tante espressioni del dialetto risolgono all’originale lingua del Boccaccio e di Dante. Si scende, pertanto, giù sul fosso dei fiumi e dei torrenti che alimentano il Cesano, il Misa, l’Esino e il Sentino alla ricerca di un alto pioppo. Il divertimento è anche preparare la “buga”, lo scavo e, con fune e corde, innalzare l’albero una volta “scortecciato”, spogliato di tutti rami salvo che in cima. Fino a venti anni fa, non si avvertiva nessuno del “furto”. Era un diritto non scritto prendere l’albero più bello e nessun proprietario se la sentiva di ostacolare la comunità in un rito celebrativo ma più di tutto propiziatorio.
La bandiera tricolore
Propiziatorio perché in cima si issa la bandiera tricolore (rappresenta l’orgoglio) e nei rami superstiti allargati si posiziona una ruota.

Ai suoi raggi sono appesi una corona d’alloro (per augurare il comando e la gloria), lo “schioppo” (il fucile è simbolo di fedeltà e coraggio), una bottiglia di vino (per la forza e la virilità del neonato). Da una ventina di anni, la tradizione si è evoluta e il “maggio” s’innalza anche per le bambine. Questa volta l’albero scelto è un “gelso” per la sua forma a “conocchia”, rappresenta l’utero che accoglie, e lo si guarnisce con tantissimi fiocchi rosa.

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