Francesco Merloni racconta in un libro la storia del padre, della famiglia e dello sviluppo italiano: «Il successo vale se è di tutti»

Francesco Merloni racconta in un libro la storia del padre, della famiglia e dello sviluppo italiano: «Il successo vale se è di tutti»
Francesco Merloni racconta in un libro la storia del padre, della famiglia e dello sviluppo italiano: «Il successo vale se è di tutti»
di Lucilla Niccolini
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Martedì 13 Dicembre 2022, 07:10

FABRIANO - Francesco Merloni, classe 1925, ha attraversato il secolo dello sviluppo. Per questo, s’intitola proprio così - “Francesco Merloni. Il secolo dello sviluppo. Internazionalizzazione e coscienza territoriale” - il libro, in uscita oggi, firmato da Giorgio Mangani per i tipi de Il lavoro editoriale.
Ingegnere Merloni, da cosa le è nata l’idea di lasciare una testimonianza, di imprenditore e di politico? 
«Accarezzavo da tempo il proposito di raccontare questa storia, ricca e interessante, che non riguarda solo me, ma più ancora mio padre e la nostra famiglia. E non volevo che andasse perduta. Lo dedico, prima che a tutti gli altri, agli otto nipoti. Ho inteso poi anche ristabilire la giustizia sulla figura del fondatore del gruppo, su cui hanno scritto in tanti, senza averlo mai conosciuto».

 
La storia della famiglia, e la sua, quella di un imprenditore, in Parlamento per ben sette legislature. Cosa l’ha spinta, a suo tempo, a scendere in campo? 
«L’intento di lavorare per il bene del paese, e di proseguire la missione portata avanti da mio padre, il suo impegno sociale, cui noi in famiglia abbiamo sempre partecipato, con molta passione. La politica fa parte della nostra storia, una specie di eredità, che ci ha lasciato con il suo lavoro, in un periodo molto felice dell’Italia, che ci ha portato in Europa».


Come uomo politico, cosa l’ha guidata, oltre all’esempio di suo padre?
«Le mie opinioni sul sistema industriale italiano. Mi sono sempre battuto contro il predominio delle partecipazioni statali, che in un certo periodo della nostra storia hanno drenato immensi capitali, con i politici a capo di aziende che avrebbero avuto bisogno di tecnici, di manager esperti.

Nel libro racconto la sfascio che ne è seguito. È giusto invece che prosperino imprese efficienti, come l’Eni di Mattei, la prima azienda italiana a partecipazione statale, e altre validissime, come Leonardo ed Enel». 


Ha ancora un senso, per l’imprenditoria italiana, il lavoro decentrato nelle periferie?
«La fabbrica deve andare dove ci sono gli operai, non viceversa. E dev’essere costruita con la collaborazione di tutti. Il successo economico è il primo obiettivo, ma non ha valore, se non è un successo per tutti. Questo è sempre stato uno dei principi cardine di mio padre: l’imprenditore dev’essere un amico per gli operai, meritare la loro stima e la loro collaborazione».


Quanto è attuale il cosiddetto “quarto capitalismo”, la definizione corrente dei “distretti”? 
«Più che di “distretto”, parlerei di un sistema, certamente attuale, in cui, come succede in molte regioni d’Italia, a esempio in Emilia Romagna, nelle Marche, aziende leader sono circondate da ditte a esse collegate, non indipendenti tra loro, ma che fanno componenti diverse, collaborano nello stesso settore produttivo, e studiano, ricercano, per innovare e internazionalizzare. Ci vogliono, è ovvio, aziende trainanti, e nelle Marche ce ne sono: nel Pesarese, in vari settori, ma anche in provincia di Ancona, e nel Fermano». 


Dai suoi 97 anni, come vede il futuro?
«Sono un inguaribile ottimista. Ripongo grande fiducia nei giovani, che mi sembrano molto vivaci. Il guaio è però che in Italia siamo sempre di meno».

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