Nigrelli protagonista in “Amen” di Recalcati: «È un grande inno alla vita, io sono il soldato, figura che si ispira a “Il sergente nella neve” di Stern»

Nigrelli protagonista in Amen di Recalcati: «È un grande inno alla vita»
Nigrelli protagonista in “Amen” di Recalcati: «È un grande inno alla vita»
di Chiara Morini
3 Minuti di Lettura
Venerdì 20 Gennaio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 07:14

CORRIDONIA - È un vero e proprio inno alla vita, “Amen”, scritto da Massimo Recalcati, in scena alle 21,15 di oggi, venerdì 20 gennaio, al Teatro Velluti di Corridonia, per la stagione di Comune e Amat. Interpretato da Marco Foschi, Federica Fracassi e Danilo Nigrelli, lo spettacolo sarà introdotto da un video dello stesso Recalcati.


Danilo Nigrelli, come nasce questa collaborazione? 
«Massimo Recalcati ha scritto questo testo durante il lockdown, che lui ha trascorso a Milano. Prima di andare all’università, Recalcati era molto legato al teatro e quindi, avendo avuto voglia di pensare al teatro per esprimersi, ha scritto questo testo. Ne ha parlato con la direzione del teatro Franco Parenti di Milano, e con il regista Valter Malosti, l’abbiamo messo su».

 
Lei è il soldato, i suoi colleghi madre e figlio, come si declina la storia tra i tre? 
«Io sono il soldato, figura che si ispira a “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern, il primo testo che ha colpito Recalcati quando aveva 13 anni. Pensi che lui sa ancora a memoria l’incipit di questa opera. Al centro del mio personaggio c’è la forza di volontà dell’uomo che torna dalla Russia nel 1943: a colpire Recalcati furono in particolare questa forza di volontà e l’impegno verso la vita. A questo ha associato il suo racconto di figlio, appena nato, gracile, che ha dovuto stare nell’incubatrice. Ecco il bimbo unito alla forza del soldato che ha cercato di resistere alla vita sono alla base di Amen, che si snoda attraverso il soldato, il figlio e la madre».
Quale messaggio arriva allo spettatore? 
«Il messaggio è chiaro: non si deve perdere l’istinto di sopravvivenza e anche la forza di volontà. La parola Amen racchiude in sé da un lato la preghiera, ma dall’altro è anche una parola laica, e allo stesso tempo trascendentale».
Che cosa manca, se manca, al teatro di oggi? 
«È dura rispondere in poco tempo, ci sarebbe tanto da dire. Dopo una quarantina di anni sul palcoscenico, posso dire che il teatro ha perso peso nella nostra cultura, anche tra i più giovani, e il periodo del Covid ha peggiorato le cose. Tuttavia ci sarà sempre, non si perderà mai l’occasione, unica, di vedere persone in carne e ossa che ti portano storie. Vedo che dall’alto però non ci sono grandi spinte per questo luogo importante come il teatro, che si rinnoverà, ma dal basso».
Come? 
«Con attori e registi giovani, anche se non è facile in questo periodo. Ricordo che anni fa in città come Roma o Bologna le repliche duravano anche due settimane, oggi invece tre o quattro giorni al massimo. E il teatro di Roma è l’emblema della crisi di tutto il settore: prima si potevano avere moltissimi spettacoli ogni sera, e 20 anni fa vedevo di tutto, oggi invece non è più così». 
Ha incontrato tanti maestri, chi le ha lasciato di più? 
«Le cito le persone a cui sono più legato come Patroni Griffi o Caprioli, sono stato in scena con Franca Valeri e Valeria Moriconi, Mariangela Melato e Ilaria Occhini. Stupende esperienze che ricordo con felicità ogni volta che ripenso anche al loro modo di fare teatro. Senza troppi pensieri».
C’era più autenticità? 
«Anche, ma vede, prima ci si incontrava tra compagnie, si era più solidali, oggi sembriamo tutti più soli.

Prima si era in missione per la cultura, oggi questo è solo un lavoro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA