Milano omaggia il genio del pittore marchigiano Pericoli con una mostra monografica intitolata “Frammenti”

Un angolo della mostra milanese del pittore e disegnatore Tullio Pericoli
Un angolo della mostra milanese del pittore e disegnatore Tullio Pericoli
di Lucilla Niccolini
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Venerdì 3 Dicembre 2021, 09:47 - Ultimo aggiornamento: 15:04

COLLI DEL TRONTO - Terra color ruggine e bianco lucido, su cui la mano di Tullio Pericoli ha scavato solchi come un aratro nei campi di fine estate. Sulle pareti damascate delle sale al primo piano del milanese Palazzo Reale, spiccano, in sobrio contrasto, i dipinti con cui l’artista, marchigiano di Colli del Tronto, ha ritratto le sue colline e i volti dei protagonisti del ‘900.

 
L’anniversario
A sessant’anni esatti dalla sua migrazione dalla regione natale, e dal suo insediamento a Milano, Pericoli è celebrato nella capitale italiana del gusto con una mostra monografica, aperta fino al 9 gennaio. Dal titolo minimalista, “Frammenti”, è ricca di 150 opere, dal 1977 al 2021. Il visitatore, che per accedere a Palazzo Reale ha varcato la folla di questi giorni in piazza Duomo, si trova fin dall’ingresso proiettato in un’altra dimensione, non soltanto geografica. E subisce il fascino dello straniamento. Gli pare di aver superato, senza essersene accorto, uno specchio magico: si aggira tra paesaggi che non conoscono traffico d’auto, lampeggiare di fanali, chiasso. Il silenzio di questi campi e la quiete immobile, anche quando sono sovrastati da nereggiare di tempesta, gli entrano dentro. Quadro dopo quadro, si squaderna una campagna dove l’occhio si perde: i quattro lati della tela quadrata, che contiene il paesaggio, non lo limitano, ma ne suggeriscono la continuazione all’infinito.


La terra e l’infinito
È stato lo stesso Tullio Pericoli a dirlo: «Mentre per Leopardi l’infinito si perdeva al di là della siepe, io lo ritrovo guardando la mia terra, affondando gli occhi oltre la superficie, nella stratificazione delle ere geologiche di cui resta traccia indelebile».

E a noi, che osserviamo, capita di perderci, all’inseguimento di segni geometrici - neri solchi ondulati nella biacca, scacchi di colore terragno alternati a macchie di fresche tinte pastello - nella fuga ordinata, ossessiva, di coltivi, di filari, di forre, calanchi e case. Irriconoscibili nel dettaglio, come in un quadro astratto, si ricompongono nella sintesi che fa l’occhio, memore di vedute marchigiane. Combinazioni, “intrighi”, come nelle opere più recenti, che solo il cielo, breve in alto, risolve nel bianco. Lo stesso che, sulla carta opaca, si accende di colore negli acquerelli visionari, con cui Pericoli dispiega la sua capacità di tratteggiare a matita immagini oniriche, chiare come solo certi sogni sanno essere. “La torre di Bruegel”, del ‘79, è la “summa” della sua immaginazione: ideogrammi d’ogni codice, bagliori di luce, qua e là offuscati da un nebbia sfumata. 


Il segreto
L’allusione, che prende il posto della rappresentazione realistica, è il segreto di questo artista, che ha conquistato la celebrità con i suoi ritratti. Sa suggerire, scomponendo le linee di ogni volto, e ricomponendole arbitrariamente, il carattere del personaggio, la cui raffigurazione ideale resterà per sempre legata al suo ritratto. Succede per Rossini, per Italo Calvino e per Kafka, in una galleria di visi vivi. È Pasolini, al centro dell’ultima parete della mostra, a siglare la mostra, sintesi estrema della dote, che ha Pericoli, di leggere volti, come fossero paesaggi, afferrandone il segreto.

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