«L'obesità è un'epidemia mondiale, il film The Whale lancia un allarme»: parla Joe Nadglowski di Obesity Action Coalition

«L'obesità è un'epidemia mondiale, il film The Whale lancia un allarme»: parla Joe Nadglowski di Obesity Action Coalition
di Antonella Ciancio
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Domenica 12 Marzo 2023, 18:47 - Ultimo aggiornamento: 14 Marzo, 11:46

La guerra di Charlie, prigioniero di un corpo malato che pesa 270 chili, non è contro la morte ormai vicina. È contro la perdita di dignità e rispetto. “Chi è che mi vorrebbe nella propria vita?” chiede un amareggiato Brendan Fraser nel ruolo che potrebbe dargli il primo Oscar della carriera come migliore attore nel film The Whale (La Balena). Il film del regista newyorchese Darren Aronofsky indaga la drammaticità complessa di chi soffre di obesità, una malattia che affligge la società americana da decenni ma in rapida crescita anche nel resto del mondo.

“L’obesità è un’epidemia mondiale”, dice a Il Messaggero Joe Nadglowski, presidente e AD di Obesity Action Coalition (Oac). I volontari di Oac hanno incontrato il regista e gli attori di The Whale per aiutarli a trasferire questa malattia sullo schermo. Il risultato, più ancora delle protesi e dei fluidi corporei del protagonista, arriva come un pugno allo stomaco dei pregiudizi e dell’indifferenza. “Penso che il film The Whale faccia un buon lavoro a rappresentare quanto può essere complicata l’obesità”, commenta Nadglowski.

Il caso di Charlie, gay e docente di scrittura creativa in Ohio è un caso tra milioni in un problema difficile da circoscrivere. L’Associazione medica americana (Ama) ha definito l’obesità una patologia solo nel 2013. Ne conseguono un centinaio di complicazioni, dal diabete al cancro.

Una malattia che non dipende dalla forza di volontà

“E’ una malattia, non dipende dalla forza di volontà”, dice Caroline Apovian del Brigham and Women’s Hospital di Boston, una delle massime esperte in materia a livello mondiale. “Chi ne soffre non ha colpa. Quando lo dico ai miei pazienti, alcuni di loro piangono, perché non glielo ha mai detto nessuno”.

Se si sa cos’è l’obesità (generalmente indicata da un indice di massa corporea superiore a 30), le cause possono essere molte. “Siamo passati dal 10% degli Americani con obesità negli anni ’60 al 44% di oggi, il triplo”, spiega Apovian a Il Messaggero.

Vivere in temperature miti, senza bruciare grasso per il freddo, potrebbe influire. Gli interferenti endocrini nella catena alimentare potrebbero agire sugli ormoni. Un ruolo certo sembrano averlo i cibi altamente trasformati, ancora molto presenti in America e in Occidente. La loro esportazione in altre regioni coincide con l’aumento dei tassi di obesità nel resto del mondo.

Due terzi della popolazione mondiale sono predisposte a questa malattia, spiega il professore Sriram Machineni, direttore del Fleischer Institute Medical Weight Center nel Bronx.

Oltre 4 miliardi di persone saranno in sovrappeso o obese entro il 2035, dai 2,6 miliardi di oggi, secondo l’ultimo World Obesity Atlas. Gli Stati Uniti hanno uno dei tassi più alti, con il 58% degli adulti obesi nel 2035. “I tassi di obesità più alti del mondo ora sono nel Medio Oriente”, dice Machineni.

L’Italia si difende in parte grazie alla migliore qualità del cibo, dice Apovian, che ha familiari a Bologna. In Italia si prevede un tasso “molto alto” di obesi adulti, il 31% nel 2035, in salita del 2%. In Europa vanno peggio tutti, con il Regno Unito al 46%.

“Molte nazioni si stanno avvicinando rapidamente ai tassi di obesità degli Stati Uniti,” commenta Nadglowski.

L’obesità è anche una maledizione. Non bastano dieta e ginnastica. Gli interventi di chirurgia bariatrica riescono a intervenire sugli ormoni della fame e della sazietà con discreto successo, ma spesso non sono coperti da assicurazione.

“Questo peso mi ha ucciso”, scriveva anni fa Mark Phinney, regista di “Fat”, film autobiografico del 2013. Diceva di aver perso relazioni, opportunità di lavoro, sviluppato diabete e depressione e di immaginare con ansia di arrivare a pesare 270 chili e non poter più uscire di casa. Come Charlie nel film di Aronofsky. Che ha diviso la critica. Alcuni lo hanno accusato di essere “grassofobico”, mostrando gli aspetti negativi dell’obesità, di aver usato protesi finte, un attore non obeso. Altri di essere buonista. Molti hanno apprezzato la mastodontica performance di Fraser, ex muscoloso eroe dei film d’azione anni ‘90 come La Mummia, ancora commosso dall’intensità di Charlie. In un’intervista a EW, l’attore parla con le lacrime agli occhi di questo personaggio più grande di sé, che vede il buono negli altri anche quando non prova più amore per sé stesso.

“Le implicazioni psicologiche dell’obesità sono enormi”, dice Machineni. “Bisogna trattare queste persone con compassione come ogni altro malato. Perché colpisce la loro vita e occorre curarli”.

Resta nello sfondo una società di contraddizioni, con una cultura alimentare spesso sbagliata e modelli di bellezza superficiali. Si combatte finalmente il body shaming, il denigrare l’aspetto fisico delle persone, ma non si parla abbastanza di salute. “Penso che stiamo andando da un estremo a un altro. Prima c’era il modello Twiggy della donna magra come perfetta. Ora vogliamo pensare a un Bmi 50 come salutare? Non esiste un’obesità metabolicamente salutare,” dice Apovian.

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