Sabato a San Francesco di Castelfidardo ritorna dopo dieci anni “Un Ponte tra Culture” con uno spettacolo da non perdere

Galatea Ranzi
Galatea Ranzi
di Lucilla Niccolini
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Giovedì 10 Giugno 2021, 11:23

CASTELFIDARDO - Come celebrare una rinascita, se non con la storia della Vergine Maria? Sarà infatti “In nome della madre” ad aprire sabato alle 21, nella chiesa di San Francesco a Castelfidardo, la 25esima edizione di “Un Ponte tra Culture”. Il festival, nato nel 1998 a Buenos Aires, poi sviluppatosi tra Argentina, Uruguay, Italia e Brasile, toccando oltre 70 città, è stato interrotto 10 anni fa. 


Rinasce ora nella zona “storica”, quella del Monte Conero, con un ricco cartellone, che prevede anche dirette streaming, per dare la possibilità di scoprire, o ritrovare, questi luoghi anche da lontano. Spettacoli, eventi e workshop si articoleranno, fino al 20 giugno, tra Camerano, Castelfidardo, Loreto, Numana e Sirolo (www.festivalunpontetraculture.com). A proporci il testo di Erri De Luca, “In nome della madre”, sarà Galatea Ranzi (replica domenica 13), un’attrice la cui presenza scenica e l’efficacia interpretativa ci restituiranno tutta la suggestione della prodigiosa storia di Mariàm. Come nasce, Galatea Ranzi, la sua collaborazione con il Teatro Biondo di Palermo, che produce lo spettacolo? «Me l’ha proposto la direttrice, Pamela Villoresi. Conoscevo e apprezzavo il testo di De Luca; la scoperta è stata lavorare con Gianluca Barbadori, un giovane regista molto attento e scrupoloso, con il quale è stato facile entrare in sintonia».

«Nove mesi di gestazione: quasi un richiamo involontario alla storia che racconto.

Una storia che tutti conosciamo, ma con la quale De Luca è capace di sorprenderci con la sua sensibilità e un’esposizione struggente». Quale trova che sia il valore aggiunto di questa narrazione, rispetto a una vicenda che ognuno di noi cristiani conosce fin da bambino? «Erri sa mettere in evidenza il carattere rivoluzionario del gesto di Joseph: la coppia ci appare sotto una luce nuova, recupera una vicinanza con ognuno di noi che azzera i secoli e annulla le sovrastrutture culturali. Lo spettatore, come ogni lettore del libro, ne rimane incantato, sulle prime, poi colpito nel profondo, perché è la stessa Vergine a narrare l’annunciazione, la gravidanza e la nascita di suo Figlio. È incredibile la capacità che ha De Luca di interpretare e integrare il racconto».

C’è un momento, nello spettacolo, in cui più che in altri la sua emozione si trasmette al pubblico? «È il parto, che l’autore riesce a descrivere con intensità, con partecipazione e dettagli, che sono tipicamente femminili. A questo momento, segue una preghiera “alla rovescia”, che definirei un colpo d’ala». Ma lasciamo agli spettatori, che non conoscono il testo, il piacere di scoprire cosa significa. Quanto l’esperienza di madre ha influito nella sua interpretazione? «Quello che si prova a stringere il proprio figlio per la prima volta tra le braccia è un’emozione unica che resta impressa per sempre. E ogni volta, in questo spettacolo, mi dà i brividi». 

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