Lino Guanciale in “Non svegliate lo spettatore”: «Faccio sognare il pubblico con Flaiano»

Lino Guanciale in “Non svegliate lo spettatore”: «Faccio sognare il pubblico con Flaiano»
Lino Guanciale in “Non svegliate lo spettatore”: «Faccio sognare il pubblico con Flaiano»
di Chiara Morini
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Giovedì 20 Aprile 2023, 02:30 - Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 12:00

CAMERINO - Un omaggio all’arte e al pensiero di Ennio Flaiano, con “Non svegliate lo spettatore”. Lo spettacolo, che vede protagonista Lino Guanciale, con Davide Cavuti, andrà in scena alle 21,15 di oggi, 20 aprile, nell’auditorium Benedetto XIII di Camerino e domani, 21 aprile, nel teatro La Perla di Montegranaro, per le stagioni dei Comuni e Amat. 

 
Lino Guanciale, il titolo, così come il pensiero di Flaiano, sono provocatori? 
«Sì, lo sono molto, il titolo poi è ispirato dalla sua raccolta di critiche teatrali “Lo spettatore addormentato”. Flaiano diceva, in maniera provocatoria, che lo spettatore che dorme è quello ideale. La lettura personalissima che ne do (e che rilanciamo) è che lo spettatore deve sognare, e lo poniamo in un contatto ideale con Flaiano». 

Lasciando indietro le preoccupazioni della vita e sognando in platea?
«Sì, non solo con il significato di divagarsi, ma anche con quello di conoscere qualcosa. I sogni del resto mostrano i luoghi o le cose nascoste dentro di noi, cose godibili non con un edonismo fine a se stesso, ma proprio per godere di qualcosa, come fa il teatro quando fa sognare il pubblico insieme all’attore».

Lo spettatore è ancora in grado di sognare così? 
«Penso proprio di sì, credo sia una cosa istintiva farlo di fronte a uno spettacolo intenso, che arriva a toccarti da vicino, che ti rapisce, che fa risuonare meccanismi nascosti. In particolare, in questo spettacolo, noi facciamo godere dell’universo di Flaiano con un’esperienza straordinaria e il pubblico alla fine si pone domande. Ci sono momenti divertenti, divulgativi, e io parlo anche della vicenda umana di Flaiano».

Le piace molto? 
«Flaiano? Sì, tanto, credo sia proprio un unicum nel secondo ‘900.

Lui somiglia allo scrittore che non prende sul serio lo scrivere, penso a Robert Walser per i paesi nordici, o ad altri esempi. Autori che non danno o cercano l’ultima parola, ma che con il loro scrivere raccontano storie. Flaiano era uno di quelli a cui piaceva osservare il mondo e mettere insieme i pezzi, soffriva di fronte a un foglio bianco».

Lei è stato diretto da Proietti: che ricordo ha?
«Con Gigi ho fatto un solo spettacolo, non ho potuto studiare con lui perché la sua bottega teatrale era chiusa quando ho fatto l’Accademia Silvio D’Amico, alla quale sono grato. Con lui sono cresciuto molto, mi chiamò per fare Paride in Romeo e Giulietta, erano gli inizi della mia carriera, il ruolo non richiedeva una grande presenza, e io ho avuto il tempo di osservarlo. Sono cresciuto con il suo mito sin da bambino, in casa era il nostro idolo. Valorizzava i talenti, insegnava, Gigi metteva avanti a tutto l’etica del lavoro: diceva che al palcoscenico si doveva dare del lei, dovevamo avere un sacro terrore, senza la giusta ansia non si rispettava né il pubblico né il palco».
Se Proietti fosse ancora tra noi, cosa crede che penserebbe del mondo dello spettacolo di oggi? 
«Ci direbbe di non perdere l’occasione della pandemia per pretendere più diritti e tutela per il nostro settore. Sono sicuro che metterebbe la sua visione di saggio capocomico». 
Altri progetti? 
«Mi divido tra le tre tournèe teatrali e la famiglia, al momento è bello così». 

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