Celestini con “Museo Pasolini” al Comunale di Cagli: «È una visita guidata che inizia nel 1922 e termina nel 1975 con la sua uccisione»

Ascanio Celestini in "Museo Pasolini"
Ascanio Celestini in "Museo Pasolini"
di Elisabetta Marsigli
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Sabato 26 Febbraio 2022, 10:23

CAGLI - Per custodire, ricordare e mantenere vive le parole di uno dei più grandi intellettuali italiani, Ascanio Celestini ha ideato “Museo Pasolini”, in scena al Comunale di Cagli questa sera alle 21. All’avvio del centenario di una delle più interessanti voci della coscienza critica del nostro Paese, Celestini ci guida, con il suo personalissimo stile, in un ipotetico museo dedicato a Pier Paolo Pasolini, attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto, ma anche di chi l’ha immaginato, amato e odiato.


Ricordare Pasolini significa recuperare l’esempio di una coscienza critica? 
«Sì soprattutto perché Pasolini è per noi uno dei prototipi dell’intellettuale perché teneva insieme il mestiere dello scrittore e quello dell’osservatore della società, senza essere solo un antropologo, sociologo o giornalista, o solo uno scrittore e poeta. È un tipo di intellettuale novecentesco “attivo” molto utile per noi». 


È anche uno dei personaggi “scomodi” della nostra storia? 
«Nel mio spettacolo cerco di utilizzare la vita e l’opera di Pasolini per guardare da dentro quegli anni, quella parte del ‘900 che sono stati i 53 anni nei quali ha vissuto, un’opportunità di vedere la sua opera attraverso il contesto nel quale è stata scritta. È un lavoro per analogia, leggere il Novecento attraverso Pasolini e viceversa. Noi oggi viviamo ancora nel Novecento, è scoppiata in queste ore un guerra novecentesca, anzi forse ottocentesca: la conquista della terra, una cosa che pensavamo o relegata nel passato o in paesi fuori dall’orbita dell’Occidente. Pensavamo che gli occidentali andassero nei paesi poveri a fare le guerre e invece qui ci troviamo di fronte di nuovo a russi contro americani».


Cosa c’è all’entrata e cosa all’uscita nel suo “Museo Pasolini”?
«All’entrata ci sono io, la guida del museo che accoglie i visitatori sulla porta. È una visita guidata in un museo nel quale gli oggetti sono disposti in ordine cronologico: una storia che inizia nel 1922 e termina nel novembre del ’75 con la sua uccisione».


Cosa possiamo comunicare attraverso Pasolini e in quale modo dobbiamo esporlo?
«È semplice la prima cosa da fare è conoscere quello che ha fatto Pasolini: mi rendo conto sempre di più in questi giorni di inizio delle celebrazioni del centenario, che non è affatto conosciuto.

Qualcuno ne conosce il volto, il nome, qualcuno ha un’idea di chi potrebbe essere, ma in pochi lo hanno davvero letto o visto al cinema».


È una cosa legata alla superficialità di questo momento storico?
«Manca l’interesse, credo, a scoprire il passato, anche quello più recente».


E l’idea di “chiudere” Pasolini in un museo, non è dunque contraddittoria?
«I musei sono cambiati e, ultimamente, c’è stato un dibattito più interessante di quello che c’è stato nei teatri. Un museo è un luogo che riguarda l’intera comunità, anche quando è privato. Esiste un patrimonio culturale materiale e uno immateriale, ma lo stesso patrimonio materiale è contemporaneamente anche immateriale. “Bella ciao” è un patrimonio culturale immateriale, ma è tutelato e io qui, espongo un patrimonio immateriale».

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