C'è "Il prezzo" di Arthur Miller a Jesi
con Orsini e un cast di grandi attori

La locandina de "Il prezzo"
La locandina de "Il prezzo"
di ​Lucilla Niccolini
3 Minuti di Lettura
Sabato 5 Marzo 2016, 21:08
JESI - I mobili enormi, in scena, sono coperti da teli. E si scoprono le carte tra i due fratelli Victor e Walter, quando si tratta di valutarne il prezzo. Appunto, "Il prezzo" è il titolo della commedia di Arthur Miller ora pubblicata in italiano per Einaudi, in occasione della nuova messinscena della Compagnia di Umberto Orsini.

Un'unica data nelle Marche, imperdibile, il 6 marzo al Teatro Pergolesi di Jesi (ore 21) per "Il prezzo": quattro grandi attori si fronteggiano tra le suppellettili accatastate in una scenografia abitata dai fantasmi di un'esistenza famigliare. Massimo Popolizio, che dirige la pièce, è Victor, il fratello che dopo il tracollo degli affari di famiglia per la crisi del '29 ha dovuto ripiegare sul mestiere di poliziotto, anche per accudire l'anziano padre; Alvia Reale è Esther, l'insofferente moglie bon ton; Elia Shilton è il fratello Walter, spregiudicato medico in carriera. Tra di loro, Umberto Orsini ha scelto per sé la parte di Salomon (nome parlante), il broker ebreo che dovrà valutare la mobilia dopo la morte del capofamiglia, arbitro involontario della resa di conti tra i fratelli, saggio e arguto, caustico ed estemporaneo.

“Il prezzo” di Arthur Miller, nella traduzione di Masolino D’Amico, è messa in scena dalla Compagnia Orsini, con le scene di Maurizio Balò, i costumi di Gianluca Sbicca, le luci di Pasquale Mari. La regia è di Massimo Popolizio, la direzione artistica di Umberto Orsini. Interpreti: Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Alvia Reale, Elia Schilton. Popolizio debutta nella regia. Dice di lui Orsini: "È un attore molto bravo. Assolutamente titolato per dirigere questo spettacolo: dopo 35 anni di lavoro con Ronconi, chi altro, se non lui? È molto attento ai particolari, non avrei saputo indicare un regista migliore. Abbiamo optato per l'ipernaturalismo. Siamo come personaggi di un film dei fratelli Coen: tipi, non stereotipi, portatori di un'inquietudine profonda".

Orsini, il prezzo del titolo non è solo quello dei mobili, vero?
"Evidentemente! Io conduco la trattativa per l'arredamento, e insieme divento ago della bilancia degli equilibri precari dei due che si ritrovano dopo tanti anni e valutano le rispettive vite. Metaforicamente, dunque, il prezzo è quello pagato da ognuno con la sua esistenza dopo la svolta decisiva. Ognuno ovviamente crede di aver pagato il prezzo più alto. È una commedia sulla aleatoria soggettività e sul peso dei differenti punti di vista".

Perché si è assegnato questo ruolo?
"Semplice: perché sono vecchio. E la parte di Salomon è nelle mie corde. Questa commedia mi ha sempre affascinato, perché reclama una recitazione classica, autorevole: per la forza delle parole e l'energia attoriale che richiede. Vede, con la mia compagnia perseguo il rispetto di un'arte che si sta perdendo, che ha pochi, ma solidi punti di riferimento. Ormai tutti credono di poter recitare a teatro, provenendo da tivù e cinema, aiutandosi con i microfoni, lasciando che le battute siano coperte dalle musiche. Noi restiamo ancorati a una tradizione alta, pur continuando a lavorare di ricerca".

La sua compagnia insomma tiene alta la bandiera della qualità, e dell'indipendenza...
"La mia è una società privata, che riscuote la fiducia di teatri importanti come il Piccolo di Milano, l'Argentina di Roma... è un grande marchio, di cui andiamo orgogliosi. Ho scelto questa strada, e ne pago il... prezzo, anche in senso stretto! Ma la qualità è vincente. Considero la mia compagnia l'Armani del teatro!".

Come reagisce il pubblico a questa pièce?
"A differenza degli inglesi, gli italiani non si lasciano mai andare, più difficilmente colgono un umorismo acre e crudo, acido a tratti, come nella bella scena madre tra me e Popolizio, preparatoria a qualcosa di più drammatico che sfocerà in un pianto liberatorio. Ma ovunque abbiamo registrato una grande partecipazione emotiva, la comprensione reale delle pieghe del testo, anche in teatri immensi come a Udine o allo Strehler di Milano, dove recitiamo senza microfoni, sempre!".

 
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