Bob Dylan uno, nessuno e centomila: in arrivo libro, tour e mostra

Bob Dylan
Bob Dylan
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Lunedì 14 Novembre 2022, 12:06

Mai azzardare una fenomenologia di Dylan. Uno, nessuno e centomila, autore in cerca di cento personaggi da interpretare, ventriloquo, sua Bobbità non è mai nel posto dove te lo aspetti, non fa mai quello che «dovrebbe» fare. Unico uomo al mondo ad aver vinto insieme il Nobel, l'Oscar, il Pulitzer (e qualsiasi altro premio che conti davvero e che lui abbia accettato di ritirare), ha appena finito a Dublino la tranche europea di un tour che dovrebbe andare avanti sino al 2024. A 81 anni, la voce gracchiante, la schiena incriccata nascosta dietro una tastiera, lo sguardo coperto dalla falda del capello di turno, ha cantato in teatri(ni) da mille posti, negando al pubblico un saluto come i suoi successi, unico della sua generazione a centrare uno show solo sull'ultimo album, il capolavoro «Rough and rowdy ways», e non sugli hit del passato. Niente routine, a Dublino ha salutato Shane McGowan e si è augurato di avere al più presto per le mani un suo nuovo disco. Alla Motorpoint Arena di Nottingham, Inghilterra, ha pagato tributo a Jerry Lee Lewis intonando la perla misconosciuta di «I can't seem to say goodbye». Tutto il tour ha il sapore del lungo addio, persino il «neverending tour» avrà la sua inevitabile fine, e i brani proposti, quelli dell'ultimo disco, girano tutti attorno al concetto di fine, scomparsa, morte, addio. Lo show, emozionante, sempre sold out, i telefonini consegnati all'entrata, fotografie e registrazioni vietate ma per fortuna rubate da centinaia di fan per poi condividerli on line con la grande tribù dei dylaniani dylaniati, sembra consegnarci l'uomo che ha messo l'arte dentro il jukebox (copyright by Allen Ginsberg) mentre attraversa il Rubicone, il fiume del non ritorno, come ci ha insegnato Giulio Cesare: «Il gelo mortale è a terra/ e le foglie d'autunno sono sparite/ ho acceso la torcia, ho guardato a Est/ e ho attraversato il Rubicone» («Crossing the Rubicon»).

Intanto, improvvisati dylaniani dylanianti hanno analizzato Filosofia della canzone moderna (Feltrinelli, pagine 352, euro 39) giocando a fare le pulci a un libro che raccoglie pensieri sparsi, spesso provenienti dal suo show radiofonico («Theme time radio hour archive»).

Non seguito di Chronicles vol. 1, il libro chiama «italo rocker» il presunto erede Bruce Sprigsteen, canta le lodi e le vite di Dion, definisce - facendo incazzare Chris Frantz dei Talking Heads - Elvis Costello and the Attractions «la miglior band del periodo. Anni luce migliore», parla dei Grateful Dead come di una «dance band» e di «Nel blu dipinto di blu» come di un brano psichedelico: «Deve essere stata la prima canzone allucinogena, anticipando White rabbit dei Jefferson Airplane almeno di una decina di anni». Altro che Marc Chagall, Freud et similia: di Franco Migliacci e Domenico Modugno come di freak ante litteram non aveva mai parlato nessuno prima d'ora. 

Tra «Nelly was a lady» di Stephen Foster del 1849 e «Dirty life and times» di Warren Zevon del 2003, c'è spazio per l'amato Frank Sinatra («Strangers in the night»), gli amati Clash («London calling»), gli Who («My generation»), i Beatles a cui insegnò a fumare erba («Do you want to know a secret», una scelta decisamente originale), Ray Charles («I got a woman»), Little Richard («Tutti frutti») voluto anche in copertina del volume con Alis Lesley e Eddie Cochran, Cher («Gypsies, tramps and thieves»), Bobby Darin («Beyond the sea»), Hank Williams («Your cheatin' heart»), Eagles («Witchy woman»), Fugs («Cia man»), «Rosemary Clooney («Come on-a my house»). Tanta «americana», meno Inghilterra, appena un pizzico di Italia. Non conta chi manca (tanti) ma chi c'è, e perché. Un podcast trasformato in libro, che si sofferma sulle canzoni, sui cantanti, sugli autori, ma anche sulle copertine, su quello che c'era dietro e dentro le canzoni scelte, sui titoli che contengono parole come «soldi», «pazzi», «piangendo» e «scarpe».

Un lavoro nostalgico, certo, ma provate voi a chiedere a un ottantunenne di parlarvi dei suoni che verranno, soprattutto se quell'ottantunenne ha scritto le canzoni più importanti del secolo scorso. 

E, intanto, si è dato a un'altra arte (a proposito, nessuno che voglia premiarlo anche per questo?), come scopriremo finalmente anche noi grazie a «Retrospectum», la mostra, a cura di Shai Baitel, in arrivo al Maxxi di Roma dove aprirà il 16 dicembre per restare sino al 30 aprile prossimo. Più di 100 opere tra dipinti, acquerelli, disegni a inchiostro e grafite, sculture in metallo e materiale video. Per sua Bobbità «è molto gratificante sapere che le mie opere visive saranno esposte al Maxxi, a Roma: un museo davvero speciale in una delle città più belle e stimolanti del mondo. Questa mostra vuole offrire punti di vista diversi, che esaminano la condizione umana ed esplorano quei misteri della vita che continuano a lasciarci perplessi. È molto diversa dalla mia musica, naturalmente, ma ha lo stesso intento». Lui lo ha detto, noi non ci saremmo mai azzardati.

Ps. Sembra che il nuovo album delle «Bootleg serie», il volume 17, dedicato alle session di «Time out of mind» (1996-1997), uscirà nel gennaio 2023: 10 lp o 5 cd, oltre alla deluxe edition. Un Dylan è per sempre. 

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