Le meraviglie dell'arte ceramica picena, tanti tesori nel convento duecentesco annesso alla chiesa di San Tommaso

Un vaso in ceramica delle Manifatture Castelli
Un vaso in ceramica delle Manifatture Castelli
di Chiara Morini
3 Minuti di Lettura
Lunedì 26 Aprile 2021, 14:25

ASCOLI - La suggestione degli ambienti del convento duecentesco annesso alla chiesa di San Tommaso, unita a quella della meraviglia dei tesori di arte ceramica qui conservati: è il museo dell’Arte ceramica di Ascoli Piceno, inaugurato nel 2007. I materiali esposti raccontano la produzione ascolana della ceramica, che ha avuto inizio nel XV secolo e ancora oggi è viva con una ventina di botteghe e laboratori che proseguono la tradizione decorativa caratteristica dell’Ascolano. Un’antica tradizione, ancora viva, che ha fatto sì che Ascoli Piceno entrasse nell’associazione italiana delle “Città della Ceramica”. 
Il museo è organizzato per periodi storico-artistici, con cinque differenti sezioni collocate in ordine cronologico. La prima parte offre al pubblico la possibilità di ammirare bacini di maiolica arcaica, prodotti ad Ascoli Piceno alla fine del Trecento. Sono manufatti in ceramica, con decorazioni che ritraggono immagini stilizzate dipinte in ramina, manganese e zaffera. Si tratta di moduli comuni ad altri centri manifatturieri dell’Italia Centrale, moduli usati per decorare le facciate delle chiese ascolane. Tracce, infatti, ci sono ancora a Santa Maria delle Donne, San Venanzo e San Tommaso. 
Dopo la sezione medievale, arrivano le due dedicate rispettivamente al ‘500 e al ‘600. Le ceramiche qui conservate ed esposte raccontano la storia e le vicende dei rapporti che la città di Ascoli Piceno ha intrattenuto con il famoso centro manifatturiero della ceramica di Castelli, funzionante nel confinante Regno di Napoli. La produzione locale non bastava a soddisfare le richieste, date dalla passione degli acquirenti piceni. Tazze e mattonelle, che ritraggono scene della devozione ascolana, narrano proprio che anziani del Comune, i monasteri cittadini e le famiglie più importanti si sono rifornite in questo centro. Si segnalano l’immagine di Sant’Emidio che battezza Polisia, di Anselmo Grue, o la Madonna del latte, di Antonio Grue.
È sul finire del ‘700 che Valeriano Malaspina, abate di Sant’Angelo Magno, decide di impiantare una manifattura di ceramica.

Siamo esattamente nel 1787, da qui parte la storia della quarta sezione del museo. Con il nuovo impianto l’abate voleva da un lato bloccare l’importazione di maioliche castellane dal vicino Abruzzo, dall’altro rivitalizzare la produzione locale, con nuove opportunità di lavoro per gli ascolani. È l’inizio della seconda fase della manifattura ascolana che, diretta prima dal pesarese Biagio Cacciano, e poi dal napoletano Nicola Giustiniani, ha vissuto il massimo sviluppo con il ceramista Giorgio Paci, oriundo di Porto San Giorgio, e che già operava nella manifattura di Sant’Angelo Magno quando era gestita dalla famiglia Cappelli. A questa gestione risale l’“Albarello”, un vaso in maiolica. La famiglia di Paci ha monopolizzato il mercato ascolano, rinnovando le decorazioni, creando la “rosa ascolana”, con pezzi come piatti, crespine o lampade, decorati con motivi in rilievo, e altri oggetti prodotti e marmorizzati con una tecnica particolare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA