Anne Hathaway star di Armageddon time a Cannes 2022: «Dedico il ruolo alla mia compianta suocera»

Anne Hathaway star di Armageddon time a Cannes 2022: «Dedico il ruolo alla mia compianta suocera»
Anne Hathaway star di Armageddon time a Cannes 2022: «Dedico il ruolo alla mia compianta suocera»
di Alessandra De Tommasi
4 Minuti di Lettura
Venerdì 20 Maggio 2022, 15:23

Un film intimo e personale: in Armageddon Time il regista James Gray (qui anche produttore e sceneggiatore) mette in scena una porzione significativa della sua vita, l’infanzia perduta e ritrovata all’epoca di Reagan. Di origini ucraine ed ebree, l’artista racconta di quando, da bambino ha fatto amicizia con un ragazzino di colore, il che ha scatenato feroci reazioni, in casa, a scuola e nella società.

La pellicola, in concorso al Festival di Cannes, ha già commosso ed entusiasmato. Al centro della storia c’è il giovane Paul (Michael Banks Repeta), che in classe conosce Johnny (Jaylin Webb): i due diventano inseparabili, legati da una tendenza a cacciarsi nei guai e ad infrangere le regole.

Con una sostanziale differenza: le conseguenze delle stesse azioni hanno una gravità maggiore per Johnny, affidato ad una nonna malata e abbandonato a se stesso per la maggior parte del tempo. Nessuno si aspetta nulla da lui, nessuno tranne Paul che nel frattempo insegue le sue ambizioni artistiche, osteggiato dai genitori (Esther e Aaron, interpretati da Anne Hathaway e Jeremy Strong) e sostenuto solo dal nonno Aaron (Anthony Hopkins).

Durante la conferenza stampa sulla Croisette il cineasta e il cast hanno raccontato il viaggio emotivo di questa storia che denuncia le ineguaglianze sociali in un periodo cruciale per la storia mondiale.

Perchè ha deciso di raccontare la sua storia personale proprio ora?

James Gray: «Perchè non ho più diciannove anni e quando invecchi ti guardi indietro. Ormai questa storia l’ho raccontata più e più volte ai miei tre figli, oramai sono stanchi di sentirla, però sono venuti volentieri a vedere la casa dove sono cresciuto».
Gli Anni Ottanta hanno davvero messo le basi per le ingiustizie di oggi?
James Gray: «Certo: l’ingiustizia sociale attuale è figlia di un’epoca che ha rivoluzionato tutto. È stata la fine della nuova Hollywood ma anche l’inizio di un periodo di forti tensioni politiche, con l’elezione di Ronald Reagan alla Presidenza USA. Mia madre ne era ossessionata, continuava a ripetere che ci sarebbe stata una guerra nucleare».

Anne, lei in quegli anni era appena nata. Le è comunque sembrato surreale interpretare la madre del suo regista?

Anne Hathaway: «Ci vado cauta con le etichette e non penso mai che un ruolo sia strano perché in fondo tutti richiedono di rendersi vulnerabile davanti alla macchina da presa. Certo, il fatto che sia basato sulla famiglia di una persona che mi sta a cuore richiede un atto di fiducia enorme. Io ho cercato di ripagarlo usando molto tatto nel porgere delle domande a James, perché sapevo che non avevano solo un risvolto artistico ma anche emotivo».

Cosa l’ha colpita maggiormente del racconto?

Jeremy Strong: «Nel film si vede l’innocenza dell’infanzia ma anche la sua perdita. Il mio personaggio era descritto come brutale e crudele. I giorni in cui ho girato le scene in cui picchiavo il bambino sono stati molto delicati e angoscianti».

Anne Hathaway: «Non possiamo però giudicare il passato con i filtri moderni».

James Gray: «D’altronde 30 anni si era considerati buoni genitori se si usavano punizioni corporali e a casa mia andava così: quando mi comportavo male papà si toglieva la cinta e me le dava di santa ragione. Io non ho mai alzato un dito sui miei figli ma all’epoca era così che si educava la prole. Il concetto di tutela dell’infanzia è arrivato dopo».

Il padre è violento, la madre rigida. Come ha approcciato questa severità?

Anne Hathaway: «Io non la vedo così, per me è evidente quanto amore ci sia in lei».

Come si è calata nei panni di una mamma ebrea?

Anne Hathaway: «Ho usato come modello la mia defunta suocera (si commuove fino alle lacrime, ndr.), una donna straordinaria, che mi porto dentro. Questo ruolo è un modo per ringraziarla anche senza usare le parole».

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