La regista Viezzoli in sala ad Ancona per la proiezione speciale di “Quando tu sei vicino a me”: «Ho scelto il Filo d’Oro per esplorare la comunicazione umana»

La regista anconetana Laura Viezzoli
La regista anconetana Laura Viezzoli
di Giovanni Guidi Buffarini
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Domenica 1 Maggio 2022, 04:45

ANCONA - Lunedì, 2 maggio, alle ore 20,30 al cinema Italia di Ancona proiezione speciale di un gran documentario: “Quando tu sei vicino a me” della regista anconetana Laura Viezzoli. Racconta, in 75 minuti emozionanti, il mondo tattile della Lega del Filo d’Oro, attraverso le storie di sette ospiti e il lavoro degli operatori. La serata di domani è organizzata in collaborazione con Cgs Dorico e Centro Diurno “Il Faro”.

Laura Viezzoli sarà in sala e con lei Erika Orena e Nicoletta Marconi, entrambe dello staff del Filo d’Oro, e Paola Rupilli, che del film è una protagonista. “Quando tu sei vicino a me” sarà inoltre proiettato: al Gabbiano di Senigallia il 3 maggio, al Cinema Nuova Luce di Urbino il 4, al Masetti di Fano il 5, al Solaris di Pesaro il 6 e infine il 7 al Cinema Nuovo Piceno di Ascoli. Cercate di non perderlo.


Viezzoli, cosa l’ha spinta a lanciarsi in questa avventura, fare un film del genere significa camminare su filo sottilissimo: edulcorare o viceversa sprofondare nella pornografia del dolore, è un attimo. Serve una sensibilità herzoghiana (Herzog ai sordociechi ha dedicato il capolavoro “Paese del silenzio e dell’oscurità”)?
«La ringrazio per avermi in qualche modo accostata a Herzog, il mio cineasta preferito. “Quando tu sei vicino a me” nasce da un bando della Regione Marche. Chiedeva di raccontare le eccellenze marchigiane. Ho scelto il Filo d’Oro, dove da adolescente avevo fatto volontariato, per esplorare i confini della comunicazione umana. Gli operatori del Filo d’Oro, anche creando nuovi linguaggi, riescono a instaurare con gli ospiti una comunicazione della vicinanza che assai di rado si riscontra nei rapporti fra noi che certi problemi non abbiamo».
 

Come ha selezionato gli ospiti da filmare?
«Ci ho impiegato mesi.

Ho scelto persone molto diverse l’una dall’altra: per carattere, per approccio al mondo, diverse anche quanto a disabilità. È un film corale in ogni senso, e il pubblico ora può rispecchiarsi ora distaccarsi, ora sorridere ora commuoversi».


Lo stile di ripresa è partecipe e al tempo stesso asciutto.
«Era fondamentale non calcare la mano. Limitarsi a registrare: con empatia, certo. Ho optato per inquadrature frontali, cosicché mai lo spettatore si trovi a guardare dall’alto o dal basso i protagonisti».


Le sequenze con Youssef sono particolarmente forti.
«Youssef è l’unico bambino del gruppo. Un bambino doveva esserci, per mostrare le prime tappe di un percorso di riabilitazione lungo e complesso e tuttavia possibile. Durante le riprese, due anni fa, non sono in alcun modo riuscita a comunicare con lui. So che da allora ha compiuto progressi significativi».

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