Il regista e attore Dini porta “Il crogiuolo” alle Muse di Ancona: «Siamo tutti contagiati dalla paura»

Il regista e attore Dini porta Il crogiuolo alle Muse di Ancona: «Siamo tutti contagiati dalla paura»
Il regista e attore Dini porta “Il crogiuolo” alle Muse di Ancona: «Siamo tutti contagiati dalla paura»
di Lucilla Niccolini
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Mercoledì 7 Dicembre 2022, 03:55

ANCONA - Una storia tristemente nota, quella delle streghe di Salem, da Arthur Miller eternata nel dramma “Il crogiuolo”, torna nei teatri italiani grazie a Filippo Dini. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino, dallo Stabile di Bolzano e dal Teatro di Napoli, va in scena, per la stagione di Marche Teatro, da domani (ore 20,45) a domenica (ore 16,30), alle Muse di Ancona. Un paradigma degli orrori cui può condurre l’isteria collettiva. 
Filippo Dini, lei che ne è regista e interprete, è stata l’attualità a spingerla a mettere in scena questo capolavoro di Miller? 
«Per la verità, è un’idea che risale a quando ho letto il testo, 17 anni fa. Non ricordo più a quanti l’ho proposta, senza esito. Ma ho tenuto duro, e finalmente il progetto è andato in porto».  
Nel momento giusto, con l’aria che tira a livello globale.
«La sorte, più intelligente di me, mi ha premiato, sotto tanti punti di vista». 
Qual è la chiave di lettura del testo, ispirato all’autore dalla “caccia alle streghe” del maccartismo anni ‘50?
«Una piccola comunità, come quella di Salem, alla fine del ‘600 viene contagiata dalla paura delle streghe. Da allora, è sempre attuale è il ruolo che riesce ad assumere la paura nell’orientare i comportamenti sociali. Oggi, la pandemia, poi la guerra in Ucraina e la paura di restare al freddo: conviviamo con tante paure, e corriamo quotidianamente il rischio di assistere a fenomeni di isteria collettiva». 
Il pubblico lo capisce? 
«Al punto che, al termine di molte rappresentazioni, ho visto il pubblico alzarsi in piedi: una sorta di tributo al nostro lavoro, ma non solo. Vi ho letto la gratitudine, per aver condiviso una sorta di rito collettivo, com’è sempre in teatro, con la sensibilizzazione verso temi “caldi”».
Altri drammi, gli ultimi da lei diretti e interpretati, come “Misery” e “Casa di bambola”, prevedevano pochi attori in scena, oltre a lei. Qui, a recitare siete in quindici. Che difficoltà, per lei che dirige e recita?
«Per un regista, quello di avere un cast numeroso è sempre un sogno. Questa volta il cimento è nell’avere attori di età e formazione diverse. Sono stato io a pretendere che fossero delle giovani a interpretare le ragazzine che scatenano il caso a Salem: sei attrici straordinarie, tra cui una danzatrice e cantante. È un’avventura faticosa, ma ricca e coinvolgente, con professionisti di valore, molto affiatati».
Un testo complesso, quello di Miller, anche dal punto di vista del confronto generazionale.
«Un dramma forte e trasparente, la cui caratteristica saliente è il coinvolgimento personale da parte dell’autore, tradito dall’amico Elia Kazan, e dal suo stesso paese. La difficoltà sta nel riuscire a far emergere i tanti temi che Miller mette in campo, oltre alla follia della “caccia alle streghe” del Seicento, e di quella, metaforica, sferrata da McCarthy contro gli intellettuali “rossi”, nel ‘900».
Qualche esempio?
«L’incapacità di comprendere la psicologia della donna adolescente da parte del potere maschile.

La donna ha sempre pagato l’incapacità dell’uomo di dominare la donna, e le sue pulsioni, inevitabilmente interpretate come ispirate dal demonio. La gran parte delle vittime di quella caccia alle streghe erano donne, che hanno sempre pagato il rifiuto, da parte del potere, di accettare le differenze».

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