Mastromatteo al Film Festival di Lugano: «Racconto il muro più lungo»

Una scena del film "Il muro - La ferita del Sahara"
Una scena del film "Il muro - La ferita del Sahara"
di Giovanni Guidi Buffarini
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Domenica 18 Ottobre 2020, 02:35

ANCONA - Gilberto Mastromatteo, di Ancona, è un ex collaboratore del nostro giornale. Ficca il naso dove secondo alcuni non dovrebbe, ma è proprio questo che deve fare un cronista. Porta alla luce storie che, non fosse per lui e pochi altri colleghi, rimarrebbero sepolte nel silenzio. Con Fiorella Bendoni ha realizzato il documentario “Il muro - La ferita del Sahara”. Il cortometraggio è stato prodotto dall’associazione Ben Slout Larbi di Sesto Fiorentino, patrocinato da Amnesty International e presentato ieri pomeriggio al cinema Plaza di Mendrisio all’interno del Film Festival Diritti Umani di Lugano. Sarà proiettato in altre rassegne in tutto il mondo. Racconta il dramma del popolo saharawi. Avevate mai sentito parlare dei saharawi?
Chiediamo a Mastromatteo chi sono, in quali condizioni vivono.
«La faccio più breve possibile. Il popolo saharawi vive nel Sahara Occidentale, fra il Marocco e la Mauritania. Una zona colonizzata fino al 1975 dalla Spagna. Dopo la morte di Franco, la Spagna se ne va. Dal 1979, il Marocco occupa l’intero territorio. Se ne era già annessa una parte nel 1976, la parte sud era mauritana. Alcuni saharawi, 200mila circa, riparano in un campo profughi nel sud-est dell’Algeria, altri, 50mila persone, rimangono nella loro terra combattendo la dominazione marocchina. La guerra è durata dalla fine degli anni Settanta al 1991, quando intervenne la tregua voluta dalle Nazioni Unite».
Negli anni Ottanta il Marocco costruisce un muro contro i saharawi.
«Un muro di sabbia lungo 2720 km, solo la Grande Muraglia Cinese è più lunga. E attorno al muro piazza oltre 5 milioni di mine fra antiuomo e anticarro: il campo minato più grande al mondo. Nel 2010 un accampamento saharawi si ribella, il Marocco reprime la rivolta. Per Noam Chomsky quello è l’inizio della Primavera Araba. Io mi occupo dei saharawi da allora».
Avete incontrato ostacoli durante le riprese?
«Abbiamo potuto girare solo dalla parte dei saharawi, nei territori liberati, avvicinandoci il più possibile al muro. Dai territori occupati io sono stato espulso nel 2013, le autorità marocchine mi caricarono su una macchina e via. La stessa sorte è toccata a chiunque abbia provato a testimoniare la condizione dei saharawi. Perfino membri del Parlamento europeo sono stati espulsi, anche la figlia di Prodi». 
Come vede il futuro dei saharawi?
«Domanda impegnativa. Il quadro al momento è fosco. Sono 45 anni che i saharawi aspettano il riconoscimento dei loro diritti sulla loro terra. Numerose sentenze emesse da organismi internazionali, Tribunale dell’Aja incluso, hanno dichiarato legittima la loro richiesta. L’Onu spinge perché nel Sahara Occidentale si tenga un referendum per l’autodeterminazione ma la Francia, potenza decisiva nella regione e alleata del Marocco, vuole lasciare la situazione incrostata. Una soluzione nel breve periodo appare improbabile. Arriverà più avanti, mi auguro».
La Francia sta col Marocco. I saharawi chi hanno al loro fianco, a parte l’Onu con i suoi appelli ignorati?
«Tante associazioni.

Si battono con tutte le loro poche forze. Ce n’è anche nelle Marche, la Rio de Oro per esempio, e a proposito della nostra regione mi piace ricordare la sensibilità alla causa saharawi dell’ex sindaco di Macerata Carancini».

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