Dini porta in scena la sua versione di “Casa di bambola” alle Muse di Ancona: «Arriva sempre dritta al cuore»

L’attore e regista genovese Filippo Dini
L’attore e regista genovese Filippo Dini
di Lucilla Niccolini
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Venerdì 5 Novembre 2021, 11:04

ANCONA - Certe sere, al teatro Carignano di Torino, dove a ottobre ha debuttato “Casa di bambola”, le donne si alzavano in piedi, al termine, per applaudire. Filippo Dini ora porta in scena la sua versione del capolavoro di Ibsen alle Muse di Ancona, fino a domenica.


Dopo le polemiche che lo accolsero, oltre un secolo fa, “Casa di bambola” è diventato un testo senza tempo? 
«Arriva ancora dritto al cuore, in maniera prepotente, perché le donne se ne sentono rappresentate e difese. Ma questo è un problema, lo stesso che mi ha spinto a riproporlo: la considerazione della difficoltà, se non l’impossibilità, di comprendersi tra uomo e donna. È evidente nella frequenza dei femminicidi, e non solo».


Un tema allarmante. 
«Che mi turba, anche come padre di due figlie piccole. Non basta continuare a liquidare certi uomini come dei mostri. Non è sufficiente trattarli come casi isolati, eccezionali, ancorché frequenti. “Casa di bambola” è stato scritto più di cento anni fa, ma la rivoluzione dell’emancipazione non è mai avvenuta. Annunciata ripetutamente, mai realizzata, nella società come nei rapporti intimi, a causa di pregiudizi insormontabili. Credo che dipenda dal fatto che nessuno ha mai tentato di instaurare un dialogo tra la parti». 


E invece sarebbe la più decisiva delle rivoluzioni.
«La disparità tra i sessi esiste da quando siamo sulla terra, nasce dalla diversità, che l’uomo ha sempre cavalcato, contando sulla forza fisica. Ibsen finalmente dimostra che il problema non è “comprendersi”, in sé impossibile, ma accettare la diversità. E riconoscere che ogni essere umano ha in sé una parte maschile e una femminile, una composizione che nessuno dei due sessi ha intenzione di accettare.

Per questo lo spettacolo inizia con un passo della Genesi, dove si dice che “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, maschio e femmina”. La tradizione ha poi consolidato due coscienze morali distinte, tra le quali ha sempre vinto quella maschile». 


Chi dovrebbe dare inizio a quel dialogo tra i sessi che lei propone?
«Lo sforzo maggiore deve farlo l’uomo, a cui tuttora venire a patti conviene di meno, perché ha più da perdere. Ma anche la donna deve comprendere la difficoltà che ha l’uomo ad arrendersi, deve dargli una mano, a instaurare quel dialogo, che nella storia non è mai esistito».


Ambientando il dramma ai nostri giorni, vuol suggerire che da allora non molto è cambiato?
«Gli uomini ancora esercitano la stessa volontà di controllo di allora. E tante, troppe donne, ancora, rinunciano a far valere i propri diritti, si affidano agli uomini». 


Oltre che regista, lei interpreta anche la parte del marito Torvald. Cosa gli ha dato di sé? 
«L’ho reso solo poco più ottuso di me, ma ho cercato di farmelo assomigliare, di non lasciare che apparisse irreparabilmente odioso e pedante. Un’amica, dopo lo spettacolo, ha detto che per la prima volta ne ha avuto pietà». 


E Nora? 
«Interpretata magnificamente da Deniz Özdogan, si accorge che in vita sua ha sempre assecondato i desideri degli uomini di casa, non ha mai ascoltato i suoi bisogni. Succede ancora oggi a tante donne. Alla fine capisce che deve cominciare a imparare. Ma deve farlo da sola. E se ne va».

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