Attori in divisa nelle teche di cristallo con l'angoscia di un mestiere negato

L'attrice Petra Valentini in una teca di cristallo davanti al Teatro delle Muse di Ancona
L'attrice Petra Valentini in una teca di cristallo davanti al Teatro delle Muse di Ancona
di Lucilla Niccolini
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Mercoledì 17 Giugno 2020, 01:45
ANCONA - Luci blu scandivano gli archi e le colonne sulla facciata del teatro delle Muse, lunedì sera. Come quella notte del 2002, pochi mesi prima dell’inaugurazione, quando Pepi Morgia fece muovere ombre cinesi dietro le finestre illuminate di azzurro. Una nuova inaugurazione, quella dell’altra sera, dopo la reclusione e la lunga interruzione dello spettacolo dal vivo, e altrettanto emozionante, con “L’attore nella casa di cristallo”.
Nel piazzale oscurato, due cubi dalle pareti trasparenti all’improvviso si accendono, su due giovani figure in divisa da infermieri. O da carcerati. Sono gli attori Petra Valentini e Michele Maccaroni, cui è affidata la “prima” dello spettacolo, che Velia Papa ha ideato per la fatidica data del 15 giugno, fissata dal Governo per la ripresa degli spettacoli dopo la pandemia. Un evento “time specific”, pensato come metafora calzante della condizione in cui il popolo del teatro ha vissuto questi mesi di blocco forzato delle attività. Marco Baliani, attore, drammaturgo e regista, ha scritto i testi e dirige la messinscena di questo apologo. I due attori che fino al 28 giugno si alterneranno con un’altra coppia - Eleonora Greco e Giacomo Lilliù – esprimono, ognuno nell’isolamento della sua teca di cristallo, l’angoscia di un mestiere negato, di un impossibile rapporto col pubblico. Tornano indietro nella memoria, a recuperare emozioni vissute e grandi testi classici recitati, sul filo di ricordi irripetibili. E anche se tutti si augurano che presto sia di nuovo possibile che i sipari si alzino, “L’attore nella casa di cristallo” è amara constatazione di come vivremmo senza teatro. Per dimostrarlo, Papa e Baliani hanno congegnato un bellissimo “pezzo di teatro”.
All’aperto, davanti a 34 spettatori distanziati, seduti sul portico, sulla scalinata e tutt’attorno alle teche. Con le mascherine sul volto; negli orecchi gli auricolari per ascoltare le voci degli attori. Lacrime di pioggia lieve, giù dal cielo nero, sembravano alludere alla tristezza di scoprire che il teatro si può fare solo così: con gli attori reclusi, a dibattersi tra quelle quattro pareti, ignari di chi li guarda, appoggiati al vetro, che urtano, accarezzano, baciano, usano come specchio per truccarsi, maledicono… Due anime perse nella loro solitudine, isolate dal mondo, a confrontarsi solo con la memoria di un mestiere tanto amato, recitando, cantando, bisbigliando lacerti di un patrimonio di cultura, che fino a ieri risuonava sotto i soffitti decorati dei teatri storici, davanti al pubblico assiepato nel buio della platea e dei palchetti. Le battute eterne dall’Amleto e dall’Otello di Shakespeare, dal Don Giovanni e dalla Pentesilea di Kleist, e poi i versi di Leopardi, che Michele Maccaroni ripete come un mantra, per evocare una donna, la partner del passato che non può avere accanto.
Il tema che Baliani ha scelto per lui è l’Amore. Anzi, la mancanza dell’amore, in questa stanza trasparente in cui è rinchiuso. Petra Valentini interpreta il rimpianto per il suo mestiere. Si dipinge gli occhi, per una recita impossibile, e per posare di fronte a invisibili fotografi, sul viso la nostalgia dolorosa di non vedersi più davanti spettatori ammirati. Poi, con la bella voce, dagli accordi dolenti di Edith Piaf, intona l’Hymne à l’amour, e gli occhi di chi assiste, e ascolta, a scelta, ora l’uno ora l’altro dei due attori, si accendono di stupore. E quando, sulle note di Yellow Submarine, che Petra pronuncia sottovoce, Maccaroni, nell’altra “stanza”, si accoccola sconsolato abbracciandosi, cala il buio nelle teche e in piazza. Commozione di tutti, sotto le mascherine.
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