ANCONA - Chiuso, ma aperto. Il teatro delle Muse di Ancona in questi giorni è un set televisivo. Sul palcoscenico si rappresenta “La scuola delle mogli” di Molière, nella messa in scena di Arturo Cirillo, che ne è anche protagonista. Con lui, Valentina Picello, Rosario Giglio, Marta Pizzigallo e Giacomo Vigentini. Nella platea vuota, gli operatori di Rai 5 hanno sistemato due telecamere fisse, altrettante sul palco, ai lati della casetta stilizzata che lo scenografo Dario Gessati ha congegnato per ambientare questa farsa amara sulle debolezze umane.
Arturo Cirillo, com'è nata questa trasposizione televisiva? «È stata Velia Papa, direttore di Marche Teatro, che ha co-prodotto lo spettacolo, a suggerire l'idea di filmare per il piccolo schermo questa commedia. Sarà trasmessa su Rai 5 il 27 febbraio, alle 21,15». Una novità, per lei? «Due altri miei lavori erano stati filmati: “L'ereditiera” e “Cinque rose per Jennifer” di Ruccello. Poi “Finale di partita”, in cui ero diretto da Mario Martone, a teatro vuoto. Solo il primo era stato registrato in presenza del pubblico. In realtà, le reazioni degli spettatori vivacizzano e creano un effetto potente, soprattutto per un'opera come questa di Molière, che riscuote risate, commenti e applausi a scena aperta.
Ricordiamo che la scenografia gioca sulla rotazione della facciata della casa, con effetto esterno/interno. Sarà esaltato dalle riprese televisive? «Si moltiplicano i punti di vista: oltre a quello del pubblico, riprese ravvicinate dal palco dipinto di giallo, e una steadicam che coglie particolari poco evidenziati dalla frontalità tradizionale. Una visione espressionistica che mi piace molto, grazie alla bravissima regista Rai, Francesca Taddeini». Un modo per eternare questo suo spettacolo. «È bello che restino documenti di un buon lavoro. Come diciamo di questi tempi, facciamo di necessità virtù. Eppure, questa non può e non deve diventare “l'alternativa” al teatro in presenza. La gente vuole andare a teatro, per me tra i luoghi più sicuri. Spero vivamente che si smetta di pensare ai teatri come i primi da chiudere e gli ultimi da riaprire».