Cecilia, vita per immagini. Paolo Pisanelli ha raccolto il racconto della Mangini, figura fondamentale del nostro cinema

Cecilia Mangini (FOTO PAOLO PISANELLI/ARCHIVIO CINEMA DEL REALE)
Cecilia Mangini (FOTO PAOLO PISANELLI/ARCHIVIO CINEMA DEL REALE)
di Giovanni Guidi Buffarini
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Lunedì 14 Marzo 2022, 11:09

ANCONA - Stasera al Cinema Azzurro di Ancona, ore 21, in collaborazione con l’associazione Il Mascherone, verrà proiettato “Il mondo a scatti” di Cecilia Mangini e Paolo Pisanelli. Pisanelli sara presente in sala, Mangini è morta l’anno scorso ultranovantenne. È stata, Cecilia Mangini, una figura fondamentale (e a lungo rimossa) del nostro cinema. La prima documentarista d’Italia, negli anni Cinquanta. La prima fotografa di strada. Sceneggiatrice e saggista. Collaboratrice di Pier Paolo Pasolini, e si racconta che fu lei a spingere PPP verso il cinema.

 
Pisanelli, come ha conosciuto Cecilia Mangini?
«L’ho incontrata per la prima volta nel 2005, alla Festa di Cinema del Reale che organizzo nel Salento. Mi avevano detto che aveva lavorato con Pasolini, altro di lei non sapevo. Siamo diventati amici, ho visto i film che ha realizzato con il marito Lino Del Fra scomparso nel ‘98, a volte li firmava l’uno a volte l’altra ma di fatto li facevano tutti insieme. Film importantissimi, come “All’armi siam fascisti” o “Essere donne”. Mi hanno folgorato, ho deciso di impegnarmi a diffonderli. Per dire, “All’armi siam fascisti” è un film footage, un film di montaggio, genere oggi di gran moda, ma nel 1962 no. Faticarono moltissimo, Mangini e Del Fra, per rintracciare i filmati, l’Istituto Luce non offrì collaborazione, diede loro una mano Lino Miccichè, il creatore della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro».


E avete cominciato a lavorare in coppia?
«Ho realizzato tre documentari con Cecilia. “Due scatole dimenticate - Un viaggio in Vietnam”, “Grazia Deledda, la rivoluzionaria” e questo “Il mondo a scatti”.

Mi fa piacere segnalare che “Due scatole dimenticate” e “Il mondo a scatti” sono stati selezionati per la rassegna che l’Academy Museum of Motion Picture di Los Angeles, il Museo degli Oscar per intenderci, dedica questo mese al cinema di Cecilia».


Ci dica due parole sul “Mondo a scatti”.
«Nasce dal desiderio di compiere un viaggio fra le immagini fisse e le immagini in movimento. È un film documentario, un film-saggio, un film autobiografico, con Cecilia che, a partire dalle sue foto, ricorda i viaggi compiuti in giro per il mondo, alcuni li aveva dimenticati. E si confronta con le immagini digitali, con una tecnologia da cui inizialmente si sentiva esclusa. E dialoga con me sulle cose del mondo, visibili e invisibili. È molte cose insieme questo film, non lo si può incasellare in un genere». 


Ha debuttato al Festival di Venezia.
«È stato l’evento di pre-apertura delle Notti Veneziane, è stato proiettato a Lisbona e ora lo porto in giro per l’Italia».


Quale l’accoglienza da parte del pubblico?
«Ottima. Gli spettatori scoprono, o riscoprono, una grande autrice e una donna che sino all’ultimo ha conservato una straordinaria vitalità. E sono tanti quelli che vengono a vedere il nostro film, certe sere incassiamo più del blockbuster della sala accanto. Un segnale incoraggiante in questo periodo così difficile in cui dobbiamo cercare di ricostruire un rapporto con il pubblico, spingerlo a riaccostarsi al grande schermo, alla visione condivisa. La pandemia ha fatto chiudere 500 sale. Le abbiamo perdute, e quelle che resistono non se la passano certo bene. Speriamo che dal governo arrivi un sostegno economico».

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