ANCONA - Silenziosa, mite, all’apparenza fragile, restava sempre in disparte, quando partecipava, assieme al suo Massimo, alle vernici delle mostre. Seguiva con i grandi occhi cerulei i gesti degli altri, le civetterie del mondo artistico, senza parlare. Nessun giudizio, ma il suo sguardo parlava più di qualunque parola. Agnese Oberto, scomparsa un anno fa, chissà come si sarebbe contenuta all’inaugurazione della mostra “Flashback” delle sue opere degli anni ‘60/’90, che la Galleria Papini ha inaugurato sabato in via Bernabei, ad Ancona. Un’esposizione che, lei viva, non sarebbe stata neppure possibile, tanto era schiva, e ritrosa a mostrare in pubblico le sue creazioni.
L’omaggio
Il marito, l’architetto Massimo Di Matteo, ha invece acconsentito volentieri a contribuire a questo omaggio, voluto dagli amici e sodali dell’associazione intitolata a Roberto Papini. Da quando, a metà degli anni ‘90, fu colpita da una malattia, che l’ha portata via dopo anni di sofferenze, dipingeva sempre meno. «Continuava invece – diceva l’altra sera Massimo Di Matteo, inconsolabile, alla presentazione della mostra - l’abitudine a ritrarre gli umani e se stessa quali personaggi da vignetta, come in un diario senza fine». I disegnini con i quali si metteva in burla, bamboline dai capelli ritti e occhi vispi, sono riportati ora nel delizioso catalogo, accanto ai grandi dipinti, perlopiù su legno, che colorano le pareti della galleria.
Il suo bestiario
Sono i cavalli, il suo soggetto prediletto, tracciati con grande maestria e colori spiazzanti, ma anche granchi e gechi, camaleonti e pappagalli: il suo bestiario, raffigurato con stili differenti, è di straordinaria efficacia.
La catarsi
Agnese era così: appartata, per nulla propensa a esporsi, se non ai suoi cari: Massimo e il figlio Giorgio. Il loro rimpianto senza fine ha trovato in questa esposizione una sorta di catarsi, che funge da risarcimento per l’artista, che viene ora rivelata al pubblico. Restiamo esterrefatti, in una società pronta ad acclamare espressioni artistiche poco più che dilettantesche, davanti a questo tesoro di colori sapienti e di veloci segni, che hanno saputo cogliere il mistero della realtà, la vitalità della natura, la poesia, che rifletteva da quei suoi occhi cerulei e severi.