I C’mon Tigre tra echi tribali e lontani richiami brasil alla Mole Vanvitelliana di Ancona per la rassegna Sconcerti

I C mon Tigre tra echi tribali e lontani richiami brasil alla Mole Vanvitelliana di Ancona per la rassegna Sconcerti
I C’mon Tigre tra echi tribali e lontani richiami brasil alla Mole Vanvitelliana di Ancona per la rassegna Sconcerti
di Andrea Maccarone
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Giovedì 21 Luglio 2022, 07:35

ANCONA - Atmosfere sospese tra echi tribali e lontani richiami brasil. Le sonorità dei C’mon Tigre questa sera faranno tappa alla Mole Vanvitelliana di Ancona per la rassegna Sconcerti. L’ensemble italiano, su cui aleggia il mistero che avvolge le identità dei musicisti, ha da poco pubblicato l’ultimo album dal titolo “Scenario”. Ne abbiamo parlato al telefono con il frontman e il chitarrista.


Su che cosa avete puntato maggiormente per la scrittura dei brani?
«Difficile rispondere. In realtà non abbiamo deciso a priori una direzione, ma ci interessava un certo discorso di apertura di traiettorie. Ecco il perché della scelta dell’idioma portoghese in e delle influenze ritmiche della musica brasiliana. Volevamo unire questi aspetti e portare il Sudamerica e l’Africa dentro la nostra musica».

 
Dunque avete proseguito sul vostro solco sperimentale?
«Diciamo che abbiamo esplorato qualcosa di nuovo che non avevamo ancora toccato. Ed è stato fondamentale per alimentare il nostro orizzonte. Uno dei tasselli principali di questo lavoro è sicuramente la contaminazione, rende più piacevole la composizione e meno noioso il lavoro».
Come nasce la vostra cifra stilistica?
«Abbiamo una tendenza a giocare con gli strumenti. Per questo la matrice di partenza della nostra musica cambia ogni volta. In linea di massima mettiamo una certa attenzione alla parte ritmica e con Marco si comincia a lavorare alla struttura dei brani che poi viene passata agli altri musicisti. Lo sviluppo delle canzoni non viene mai forzato, ma lasciamo che prendano la loro strada in maniera quasi autonoma».
La musica è per voi una sorta di crocevia di culture diverse?
«Esattamente, mescoliamo gli stili e percepiamo una certa freschezza da ciò che riusciamo a creare. Ed è davvero molto stimolante. E’ difficile pensare di fare qualcosa di nuovo nella musica, percui anche quando prendiamo in prestito suoni da altri Paesi e da altre culture lo facciamo con grande senso di rispetto».
C’è chi sostiene che i C’mon Tigre siano già diventati una band di culto. Che effetto vi fa?
«Ma in realtà penso che ci sia stata la convergenza di una serie di fattori e, senza falsa modestia, anche un po’ di fortuna. Il nostro primo brano è stato accompagnato da un video di un animatore considerato tra i più importanti in Italia. Poi c’era questo alone di mistero su chi fossimo e da dove provenissimo. Così abbiamo subito attirato l’attenzione di un certo ambiente musicale. Ma credo che le band di culto siano un’altra cosa».
In ogni caso Skyarte vi ha dedicato un documentario. Non è una conferma che siate diventati una realtà degna di attenzione?
«Probabilmente sì, ma forse perché per nostra natura cerchiamo di alzare sempre di più l’asticella della qualità. Non ci accontentiamo di aver raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati. Perciò penso che questo approccio abbia consolidato l’idea che i C’mon Tigre rappresentino nella musica underground qualcosa che abbia molto carattere».
Come venite percepiti all’estero?
«Abbiamo suonato parecchio in Francia e la risposta è stata sempre molto buona.

Nel 2016 siamo stati invitati al festival di Roskilde in Danimarca e poi abbiamo fatto delle date in Germania. I nostri brani sono principalmente cantati in inglese e in base ai riscontri che abbiamo avuto fino ad ora, credo che ci sia un buon margine per lavorare bene anche in Europa».

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