Sferisterio, l’anima rivoluzionaria
della Parigi sessantottina con La Bohème

Sferisterio, l’anima rivoluzionaria della Parigi sessantottina con La Bohème
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Sabato 25 Luglio 2015, 17:46 - Ultimo aggiornamento: 17:54
MACERATA - Dopo il successo del 2012 torna sul palcoscenico dello Sferisterio La Bohème del 2012 del regista Leo Muscato premio Abbiati nel 2013. L’allestimento, concepito per lo spazio unico dello Sferisterio e ambientato in una viva e incandescente Parigi del 1968, si inserisce pienamente tra gli spettacoli più apprezzati e fortunati del Macerata Opera e viene riproposto in tutta la sua bellezza al Festival prima di essere ospitato, a partire da ottobre, dai Teatri del Circuito Lirico Lombardo e Reggio Emilia.



A dirigere l’Orchestra Filarmonica Marchigiana è il Maestro David Crescenzi, noto al pubblico dello Sferisterio per aver diretto Cleopatra di Lauro Rossi con la regia di Pier Luigi Pizzi, inaugurando la stagione 2008, e lo scorso anno la serata Nozze d’oro, gala per i cinquant’anni del Macerata Opera Festival. In palcoscenico Carmela Remigio e Arturo Chacón-Cruz sono i coloratissimi Mimì e Rodolfo. Con loro nel cast: Larissa Alice Wissel, Damiano Salerno, Andrea Porta, Andrea Concetti, Antonio Stragapede, Alessandro Pucci, Giacomo Medici, Roberto Gattei, Gianni Paci, Giovanni Di Deo. Le scene sono di Federica Parolini, mentre Silvia Aymonino e Alessandro Verazzi firmano rispettivamente costumi e luci.



Sul palco anche il Coro Lirico “V. Bellini”, il complesso di paloscenico Banda Salvadei e i Pueri Cantores “D. Zamberletti”. Per Leo Muscato la scelta di ambientare l’opera durante le rivoluzioni del 1968 è frutto di un’analisi del lato “politico” di Puccini. Quando Puccini cominciò a lavorare su La vie de bohème di Murger era ormai un compositore di successo. Probabilmente in quel soggetto ravvisava un po’ se stesso all’epoca della Scapigliatura. Quei giovani, animati da un forte sentimento di ribellione e di disprezzo nei confronti della cultura e del perbenismo borghese, avevano desunto il loro nome da una libera interpretazione del termine francese Bohème (vita da zingari), e si erano ispirati alla vita libertaria e anticonformista degli artisti parigini descritta proprio nel romanzo di Murger.



Nel momento in cui l’opera di Puccini andava in scena per la prima volta, il sentimento nostalgico per quei tempi passati, era un sentimento diffuso. Da qui la scelta di puntare sulla memoria emotiva degli spettatori, con l’ambientazione sessantottina. I protagonisti dell’allestimento di Muscato, vivono e agiscono una delle più grandi rivoluzioni culturali del ‘900, decisamente diversa dalla Scapigliatura, ma altrettanto dirompente. E poiché nei primi due quadri li vediamo allegri, divertiti, divertenti e spensierati, non riusciamo a immaginarceli con i libri di Althusser e di Marcuse nelle tasche. Pensiamo a loro piuttosto come a quel folto numero di giovani che ha animato il Sessantotto nei suoi aspetti di rivoluzione diffusa, culturale e di costume.



Non così Mimì. Lei è soggetto storico privilegiato, non astratta categoria dell’anima, ma categoria sociale, semmai. Classe. Quella che nella seconda metà dell’ottocento si trova assembrata nelle fabbriche grigie di fumi velenosi e nei sobborghi mefitici delle metropoli industriali. Lei è il movimento reale delle cose, è il sacrificio umano che sorregge l’impalcatura di pensiero rivoluzionario che si muove lungo i binari della storia. E se in questa messa in scena, Rodolfo, Marcello, Schaunard, Colline e Musetta sono forse pretestuosamente “sessantottini”, Mimì è invece la scelta d’elezione del regista. Era operaia e ultima ai tempi di Murger, di Puccini; è un’operaia che soccombe in questa messa in scena, è la morte bianca che affolla i nostri tempi. Il movimento reale, la storia non lo scalza, proprio perché è carne, e sangue, e morte, in taluni casi. È stata Mimì a trascinarsi dietro tutti gli altri, per andare a posizionarsi proprio là dove la storia del ‘900 ha tentato la rivoluzione, riuscendovi solo a metà.
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