Ron e la "data zero" del tour a Cagli:
«Vi racconto il mio Lucio Dalla»

Ron e la "data zero" del tour a Cagli: «Vi racconto il mio Lucio Dalla»
di Elisabetta Marsigli
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Venerdì 4 Maggio 2018, 12:35
Data zero per il nuovo tour di Ron al Comunale di Cagli: oggi, ore 21, parte dalle Marche “Lucio! Il tour”, il concerto di canzoni di Lucio Dalla con cui Ron omaggerà l’amico e collega, attraverso alcuni dei brani più importanti che i due hanno scritto, insieme a molti altri, sempre appartenenti al repertorio del cantautore bolognese, che fanno parte della storia della musica italiana.

Un’emozione grande riportare sul palco le canzoni di Lucio?
«Non è un semplice concerto, ma uno spettacolo che ha un taglio molto teatrale: è un viaggio attraverso i luoghi di Lucio, da Napoli a Bologna, dalle Tremiti a Milano, con contributi foto, video, e di racconti. È stato molto bello cantarlo e seguire la drammaturgia ideata da Vincenzo Incenso».

Tra i tanti ricordi di Lucio, uno che le è rimasto nel cuore?
«Lui era sempre molto divertente, unico. Io arrivavo da questo paesino del nord ed ero tutto perbenino, mentre lui era tutto il contrario, per cui era esilarante. C’è stato un momento in cui Lucio ha preso le redini da padre per me, quando ho avuto un momento di caduta. Mi sentivo inadatto e non ero contento di me, nonostante il successo. Lucio mi fece trovare una lettera dove mi esortava ad essere contento di quello che avevo, soprattutto dentro. Una cosa molto bella e tenera, ma anche determinata, su cui ho scritto una canzone, qualche anno fa».

Fu proprio lui a decidere il suo nome d’arte: come avvenne?
«Già mi chiamava Ron: dava soprannomi a tutti e non la scampavi, nel giro di un giorno o due avresti avuto un soprannome anche tu! Mi chiamò da subito Ron e quando fu il momento di partire per il tour mi disse: “ora basta, Rosalino Cellamare è troppo lungo anche per scrivere gli autografi”. Pensai che forse mia madre non ne sarebbe stata contenta…».

Il suo esordio fu nel 1970 a 17 anni: l’emozione è stata ancora quella anche nell’ultimo Sanremo?
«Nel ’70 ero un ragazzino: avevo 16 anni e nulla da perdere, avevo grande forza e determinazione e mi stupivo di vedere i miei colleghi più grandi buttati fuori che piangevano! Pensavo “sono a Sanremo, non gli basta questo?” Ora è ben diverso, anche se Baglioni ha fatto benissimo a togliere le eliminazioni. A Baglioni devo anche la richiesta di cantare il brano di Lucio, all’inizio non volevo».

Troppa responsabilità?
«Sì, mi chiedevo se ero all’altezza e invece piano piano mi sono avvicinato all’album che stavo facendo per i 75 anni che avrebbe compiuto Lucio. Poi mi sono abituato molto in fretta a cantarlo, probabilmente quelle canzoni erano dentro di me e ho cercato di re-interpretarle cercando di essere me stesso».

Tra tutte, ce n’è una in particolare?
«Due: una è Henna che Lucio ha fatto per la terribile guerra in Jugoslavia e poi “le rondini” che faccio anche in concerto e mi emoziona tantissimo la sua atmosfera, ogni volta».

Come si scrivono le canzoni che rimangono nella storia?
«Senza accorgersene. Quelle tanto pensate non hanno mai successo. Piazza Grande l’abbiamo scritta a 4 mani in 10 minuti ed è stato un successo mondiale. Attenti al lupo l’ho scritta tornando a casa da una visita a mia nonna e ha venduto un milione e mezzo di dischi».

Lei fa parte di una generazione di grandi cantautori: non ne nascono più così?
«I talent sono un grande freno per i giovani artisti costretti a non scrivere perché in un talent vai a cantare solo i grandi successi. Così ti ritrovi tante voci belle ma che hanno bisogno di qualcuno che scriva per loro. La musica leggera italiana andrebbe studiata a scuola: ci sono grandi pezzi che, con tutto il rispetto per i poeti, non hanno nulla da invidiare alla poesia. E queste sono le cose che vanno mantenute e messe nel cuore dei giovani».
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